PAX
“Per sempre è composto da Ora.”
Emily Dickinson
Nella calma che avvolge la collina in cui dimoro, si erge questo piccolo cimitero. Non è un luogo che attira lo sguardo, è piuttosto un santuario di quiete che si rivela solo a chi sa fermarsi per ascoltare il linguaggio muto dei fiori e delle pietre. Qui, sotto un cielo gravido di nuvole, l'eternità conversa con l'effimero in un dialogo senza parole. Le lapidi, sentinelle del tempo, non segnano semplicemente la fine di un viaggio, ma custodiscono le impronte di chi ha camminato prima di noi. Sono mappe di esistenze consumate, archivi di respiri che il vento ha disperso ma che la memoria ostinata della pietra continua a trattenere. PAX, recita una lapide consunta. RESURRECTURIS, promette un'altra. Non mere parole incise nel marmo, ma invito a contemplare il mistero che abbraccia la nostra fragile condizione. La pace, qui, non è il silenzio artificiale delle città assopite, ma una quiete densa, gravida di significato, come il terreno umido dopo la pioggia che già prepara nuove fioriture. Lo stesso bianco e nero delle immagini non è privazione, ma rivelazione. Così come la notte non cancella il mondo ma ne svela le stelle, l'assenza di colore distilla l'essenza delle forme, liberandole dalla tirannia dell'apparenza. In questo spazio monocromatico, l'occhio penetra oltre la superficie e l'anima riconosce una verità più profonda: la bellezza non risiede nell'esuberanza dei colori ma nell'armonia dei contrasti, nel dialogo sussurrato tra luce e ombra. Un albero solitario si fa testimone silenzioso di questa continuità. Domina il paesaggio con la sua presenza maestosa, con le radici che affondano nella terra dei morti e la chioma protesa verso un cielo velato. È l'incarnazione di un ciclo che non si spezza, ma si rinnova in forme diverse, appartenenti a questi luoghi marginali e dimenticati, dove la bellezza si è ritirata come un eremita che fugge dal chiasso del mondo. Le stesse nuvole sono come quei pensieri che offuscano la mente, eppure anche attraverso questa coltre filtra una luce, non abbagliante ma diffusa e rivelatrice. La pace interiore, quella a cui ogni anima anela, non è assenza di tempeste, ma la capacità di trovare il proprio centro anche quando il vento ulula e scuote le fondamenta dell'essere. È quel nucleo di quiete che resiste quando tutto intorno sembra franare. Come il piccolo fiore selvatico che cresce tra le tombe, apparentemente fragile eppure capace di resistere alle intemperie con una tenacia che va oltre le crepe di un muro. In questo piccolo angolo di collina, ogni dettaglio diventa un emblema: il cancello arrugginito parla di passaggi e di soglie; le lettere sbiadite sulle lapidi più antiche ricordano come anche la memoria più ostinata ceda infine al tempo; l'ombra di un uccello che attraversa fugace una lapide unisce, per un istante, il mondo dei vivi a quello dei morti. Le fotografie catturano questi frammenti di eternità, ma sono solo dei ponti che invitano ad un viaggio interiore. Congelano attimi di bellezza nascosta, ma il vero compimento avviene nell'anima di chi osserva. È un'esperienza che trascende il visibile: dopo aver aperto gli occhi su questi squarci di mondo, siamo invitati a chiuderli, lasciando che quelle immagini austere lavorino dentro di noi come semi, fino a far germogliare la pianta rara e preziosa che chiamiamo serenità. Questo pellegrinaggio nelle pieghe silenziose del mondo non è fuga, ma ritorno. Ritorno a una dimensione dell'esistere che la frenesia quotidiana ci ha fatto dimenticare. È un riappropriarsi di quel tempo contemplativo che può restituirci soltanto la misura autentica del nostro essere nel mondo. PAX è la possibilità inscritta nell'anima, una promessa che attende di essere mantenuta. La pace non è un luogo da raggiungere, ma uno sguardo da coltivare. Uno sguardo capace di scorgere la luce anche quando le nuvole sembrano aver conquistato ogni angolo del cielo. Uno sguardo che sa riconoscere, nelle crepe del mondo e nelle ferite dell'esistenza, non solo la fragilità di ciò che passa, ma anche l'ostinata, meravigliosa persistenza di ciò che, nonostante tutto, continua a fiorire.
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