Buon Compleanno!
“Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s'era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere così.”
Italo Calvino
“Ogni vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.”
Marcel Proust
La protagonista stringe fra le dita il proprio ritratto di ieri, regalandoci uno sguardo che è insieme tenerezza e audacia. Non si annuncia come un gesto d’orgoglio, ma come un colloquio interiore, un ponte tra l’io che fu e l’io che lentamente si è trasformato. Paul Ricoeur distingue tra idem e ipse per analizzare l'identità personale. L'idem con la sua permanenza nel tempo, legata a caratteristiche stabili e immutabili. L'ipse con la potenza evocativa dell'identità narrativa, quel modo in cui una persona si racconta e si trasforma nel tempo attraverso le esperienze e le relazioni. Ed è proprio qui che la fotografia diventa specchio del tempo, testimone di una persistenza e, insieme, di una metamorfosi. È il passato tangibile, tenuto tra le dita, un punto fermo da cui iniziare un viaggio intimo e spirituale. Quelli che seguono sono scatti di mani, volti, gesti sospesi, e ancora uno specchio, fiori e oggetti disciolti in un’alchimia di luce e ombra, mentre prendono le distanze da un semplice ritaglio di realtà, evocando echi di antichi ritratti che aprono un lungo varco verso l’interiorità. C’è un silenzio eloquente in queste immagini, una sequenza che si srotola davanti agli occhi come un nastro di seta preziosa, un diario visivo dedicato al tempo che passa. Non è solo il compleanno della donna ritratta, musa e compagna, ma è anche, implicitamente, un brindisi sussurrato all’arte stessa della fotografia, a questa disciplina capace di fermare l’attimo e, al contempo, di farlo fluire in modi nuovi e inaspettati. Poi, la sequenza si frammenta, si fa ancora più introspettiva. I fotogrammi centrali esplorano il volto, le mani, i gesti in una danza di luce ed ombra che evoca, con leggerezza quasi impalpabile, certi studi classici, forse la grazia malinconica o la tensione emotiva di un ritratto del Pontormo. Non è citazione diretta, ma soltanto un’eco lontana, un riconoscimento della storia dell’arte che nutre lo sguardo contemporaneo. Qui trovo la disciplina e il rigore: ogni scatto non è casuale, ma una meditazione sulla forma, sull’espressione, sul modo in cui la luce rivela e nasconde. È l’esplorazione del presente, fatto di istanti colti e di sfumature emotive. Come suggerisce Jean-Luc Nancy, il ritratto non è mai solo la rappresentazione di un volto, ma l’esposizione di uno sguardo, un’apertura verso l’altro e verso sé stessi. L’occhio del fotografo modella la figura, ma è lo sguardo della donna che ci interroga, come un respiro trattenuto, in cui la lama luminosa scolpisce emozioni, rivela soglie segrete dell’anima. È qui che l’osservatore viene invitato a perdersi nei dettagli, a cogliere quella scintilla che fa del ritratto un varco verso qualcosa di più profondo ed essenziale. In altre due immagini, lo specchio diventa scena di un duetto segreto: non riflette più soltanto il volto della modella, ma cattura anche la figura del fotografo, un’ombra gentile alle sue spalle, testimone devoto e parte stessa dell’opera. È come se il vetro accogliesse un bacio di luce tra i loro sguardi. In quel riflesso condiviso, si celebra non solo l’unione di due esistenze, ma la complicità creativa che trasforma lo specchio in un altare comune, dove amore e arte si fondono in un unico e luminoso abbraccio. E infine, l’ultimo fotogramma, catartico e potente. Una figura allo specchio. Non più un ritratto del passato da tenere in mano, ma una superficie riflettente su cui scrivere il futuro. Un atto performativo che trasforma la modella da soggetto passivo a creatrice attiva del proprio destino: scrivendo sul vetro le parole del proprio futuro, la protagonista traccia una speranza come un alchimista traccia i segni di una trasformazione. Scrivere sullo specchio è come imprimere la propria volontà sulla superficie stessa della rappresentazione, è un atto di fede nel divenire, per usare un termine caro a Deleuze. È l’affermazione che il futuro non è un’immagine già data, ma una pagina bianca – o, in questo caso, una superficie riflettente – su cui tracciare i propri desideri e le proprie speranze. La fusione tra intimità del racconto personale – un amore dichiarato attraverso l’obiettivo – e riflessione universale sull’arte e sul tempo è la cifra di questo resoconto visivo, in cui celebrare la capacità della fotografia di essere memoria, introspezione e pro-getto (nel senso etimologico di "gettare avanti"). È un doppio dono: alla donna amata e all’arte che permette questa espressione così profonda. Queste immagini ci invitano a guardare dentro di noi. A chiederci come ci rapportiamo al nostro passato, come viviamo la frammentarietà del presente, con quale coraggio scriviamo il nostro futuro. È un’opera che respira amore, metodo e una profonda fiducia nel potere dell’arte di farci vedere, e di farci sentire, più profondamente umani. Un augurio silenzioso che risuona ben oltre la singola ricorrenza.
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