Se mi fai il ritratto ti sparo!
“Perché ci sono troppe cose che mi piacciono e mi confondo e mi perdo a correre da una stella cadente all’altra fino allo sfinimento. Non avevo niente da offrire a nessuno tranne la mia confusione.”
Jack Kerouac
“Ci voltammo dopo dodici passi, perché l’amore è un duello, e ci guardammo per l’ultima volta.”
Jack Kerouac
Nel cuore della voragine, lì dove la brama di essere visti si scontra con il terrore ancestrale di essere scoperti, prendono vita questi appunti fotografici che lacerano il velo del ritratto contemporaneo. "Se mi fai il ritratto ti sparo!" non è un semplice titolo, ma un grido di battaglia, una sfida lanciata dall'abisso paradossale che si spalanca ogni volta che un obiettivo ci inquadra. Queste foto, caratterizzate da un bianco e nero netto e tagliente, oscillano sul confine incandescente tra l'eleganza delle immagini fashion e la brutalità del ritratto psicologico. Ci trascinano in quella terra di nessuno dove l'obiettivo si trasforma in una sorta di bisturi che incide l'anima: da promessa di eternità a minaccia di un'istantanea che vorrebbe svelare l'insostenibile. Il soggetto è l'incarnazione vivente di questa tempesta. La chioma ribelle, incendiata dal controluce, l'atteggiamento in bilico tra sfida sfrontata e resa imminente. Punta un'arma simbolica, un gesto eversivo verso chi osserva, ma in quell'atto si espone lucidamente allo sguardo altrui. È la difesa primordiale, istintiva, contro l'imbarazzo, a volte ustionante, di sentirsi senza veli sotto i riflettori. E il paesaggio? Non è sfondo, è specchio. Una natura selvaggia che assedia scampoli di civiltà ferita, amplificando la vertigine dell'essere sospeso tra l'io interiore e la maschera esteriore, l'autenticità viscerale e la recita sociale, l'illusione del controllo e l'abisso dell'abbandono. Cosa ci terrorizza davvero nell'occhio implacabile dell'obiettivo? Forse è il timore sacro che l'immagine catturata non si limiti a mostrare, ma strappi il velo, rivelando le crepe nell'armatura, le insicurezze che soffochiamo, quell'essenza nuda e cruda che difendiamo erigendo barricate di pose studiate e sorrisi artificiali. La giacca di pelle che sembra fusa al corpo, gli occhiali scuri come feritoie di una fortezza assediata, la spavalderia ostentata: frammenti di un'armatura contemporanea. Indossata da chi sente su di sè il peso dello sguardo, ma al tempo stesso, lotta disperatamente per scolpire la propria immagine. Eppure, è proprio in questa trincea del controllo che si annida la vulnerabilità più profonda, la crepa da cui tutto può traboccare. Queste foto diventano così un viaggio negli abissi del potere dello sguardo, nell'era dell'iper-esposizione che ci consuma. In un mondo saturo fino alla nausea di immagini, dove l'auto-rappresentazione è diventata liturgia quotidiana sui palcoscenici digitali, cosa significa ancora, veramente, essere visti? Dove si infrange il confine tra l'icona che proiettiamo e l'essere fragile che nascondiamo? "Se mi fai il ritratto ti sparo!" si trasforma allora in un manifesto: non solo un'indagine visiva, ma un'esplorazione esistenziale della danza incessante tra identità e immagine, tra autenticità e performance, tra la sete di essere ammirati e il panico di essere decifrati fino in fondo. Nel campo minato dell'essere-in-posa, ogni scatto è un piccolo, vertiginoso atto di coraggio. Una resa momentanea che, nel suo paradosso più potente, afferma con un grido silenzioso: "Eccomi, squarciato dalle mie contraddizioni. Guardami, se ne hai coraggio. Ma sarà sempre alle mie condizioni!"
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