LOW - Camera Grammar Exercises - 2
“Non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose. Ci sono le regioni di passaggio, le strade, i treni, le metropolitane; ci sono le regioni aperte della sosta transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge, gli alberghi, e poi ci sono le regioni chiuse del riposo e della casa. Ora, fra tutti questi luoghi che si distinguono gli uni dagli altri, ce ne sono alcuni che sono in qualche modo assolutamente differenti; luoghi che si oppongono a tutti gli altri e sono destinati a cancellarli, a compensarli, a neutralizzarli o a purificarli. Si tratta in qualche modo di contro-spazi. I bambini conoscono benissimo questi contro-spazi, queste utopie localizzate. L’angolo remoto del giardino, la soffitta o, meglio ancora, la tenda degli indiani montata al centro della soffitta, e infine – il giovedì pomeriggio – il grande letto dei genitori. E’ in quel letto che si scopre l’oceano, perché tra le sue coperte si può nuotare; ma quel letto è anche il cielo, perché nelle sue molle si può saltare; è il bosco perché ci si può nascondere; è la notte, perché fra le sue lenzuola si diventa fantasmi; ed è il piacere, perché al ritorno dei genitori si verrà puniti.”
M. Foucault
“Non c'è piacere più complesso del pensiero.”
J. L. Borges
“Quale scrittura inventare perché tu riconosca il mio desiderio (il mio corpo, il mio gesto, la mia voce, il mio respiro) attraverso la matrice e il codice dell'altro?”
J. Derrida
“È notte: solo ora si destano tutti i canti degli amanti. E anche la mia anima è il canto di un amante. In me è qualcosa d'inappagato e d'inappagabile: vuole prender voce. Una brama d'amore è in me che parla la lingua dell'amore.”
F. Nietzsche
Questo lavoro è un concentrato di fotografie insolite! Nasce dal desiderio di provare a realizzare immagini basate su regole formali ben definite: una specie di grammatica visiva in grado di (r)accordare cose come volti, statue, colonne, nastri di seta, foglie e formiche… con un insieme di regole su luci, ombre, contrasti, chiaroscuri, composizione della scena… in modo da provare a far dialogare due entità della stessa natura: fotografia e linguaggio. C’è ancora una questione: ogni immagine è caratterizzata dalla presenza di curiosi tentacoli in grado di “concatenare” tra loro più foto a partire da un gruppo di relazioni che danno origine ai dieci polittici di questa collezione. Così, come in linguistica un periodo è usato per organizzare il testo e comunicare idee complete, allo stesso modo in questo lavoro sarà il polittico e non la singola foto a tratteggiare l’intenzione e l'interpretazione che si desidera trasmettere.
Ma procediamo con ordine: la genesi di questi “esercizi di grammatica fotografica” è piuttosto lunga e risale alla mia esperienza universitaria quando occupavo le giornate tra lo studio dei sistemi formali, le opere di Borges e la stampa in camera oscura. Per i più curiosi, aggiungerei tra i passatempi preferiti anche i giochi linguistici, dai quali è scaturito proprio il titolo di questo lavoro. Nell’accezione più comune LOW potrebbe alludere al fatto che tutte le immagini presenti in questa collezione sono caratterizzate da toni scuri, da una chiave bassa (come si usa dire in fotografia), il titolo potrebbe però riferirsi anche a qualcosa che ha affinità con ciò che è debole, scarso, fragile, basso… LOW appunto! Dovrò avvisare il lettore di queste note che prima di giungere a questo titolo ho immaginato diversi acronimi che potessero offrire una sintesi sulla natura di questi polittici. Tale divagazione va vista solo come un bizzarro esercizio di stile prima di tuffarsi nel mare aperto della creatività. Ma eccovi una piccola lista dei possibili acronimi che potrebbero accompagnare il senso di questi strani esercizi fotografici:
L.A.M.E. - Low Assertiveness Mathematical Environment
L.I.T.E. - Limited Intensity Theoretical Expanse
L.O.W.E.R. - Lessened Order Weakness & Emptiness Regime
L.E.A.N. - Limited Efficacy Abstraction Nexus
L.O.S.T. - Low Order Systemic Threshold
L.I.G.H.T. - Lacking Intensity in Generalized Hierarchy Theory
L.O.W. - Limited Order Weakness
L’ultimo, il più corto, è proprio LOW, inteso anche come possibile acronimo di una generale Debolezza degli Ordini Limitati: una discreta sintesi di quest’opera. Va ricordato che qualunque sia il modo attraverso cui rivolgiamo gli occhi al mondo, dobbiamo sempre essere consapevoli dei suoi limiti invalicabili. Qualsiasi costruzione che punti ad eliminare disordine dalla realtà non potrà che farlo in modo circoscritto, parziale e precario. Ecco perché quest’opera si annuncia silenziosamente, prediligendo una luce soffusa, talvolta ai limiti del visibile e lasciando intendere ciò che viene rappresentato come un mare arcano e profondo, come la punta di qualcosa di molto più variegato e insondabile.
L’elemento centrale di questa sorta di linguaggio fotografico formalizzato si snoda attorno al vasto concetto di relazione, caratterizzato dalla connessione, associazione o interazione tra elementi all'interno di uno stesso sistema strutturato di regole. Questi elementi possono essere simboli, parole, blocchi di immagini e altro a seconda del contesto. In un linguaggio formale, a rigore, esistono diversi tipi di relazioni che giocano un ruolo cruciale nell'organizzare e definire la struttura stessa delle espressioni all'interno di quel linguaggio. Quella che segue è una rapida e incompleta carrellata di esempi:
- Relazione di derivazione: indica come una generica sequenza di simboli (stringa) può essere generata a partire da simboli di partenza applicando regole di produzione.
- Relazione di equivalenza: specifica che due espressioni sono equivalenti in base alle regole della grammatica formale, cioè rappresentano lo stesso significato o valore all'interno del linguaggio.
- Relazione di riduzione: si riferisce al passaggio da una sequenza di simboli complessa ad una sua forma più semplificata o ridotta.
- Relazione di accettazione: segnala se una determinata stringa appartiene al linguaggio definito dalla grammatica che può accettarla o rifiutarla in base alle sue regole di transizione.
- Relazione di concatenazione: stabilisce come le stringhe vengono concatenate tra loro secondo le regole del linguaggio.
- Relazione di struttura: definisce come le parti di un'espressione si relazionano tra loro in base alla propria struttura grammaticale.
Da arguto quanto improvvisato filosofo, mi sono avventurato con entusiasmo in questa disquisizione sull'ardua questione se la fotografia possa essere considerata o meno un linguaggio. L'artista, con il suo ingegnoso intreccio di immagini, può senza dubbio creare un sistema di relazioni che evoca una sorta di grammatica visiva. D'altro canto la scelta di accostare determinate fotografie, di giocare con la luce, i colori, le inquadrature e le composizioni, suggerisce un percorso narrativo, un'idea, un'emozione. In questo senso, si potrebbe quindi affermare che l'artista stia tentando di costruire proprio un linguaggio, seppur non formalizzato, con le sue peculiarità e la sua intrinseca coerenza. Sul fronte opposto la fotografia si discosta, invece, dal linguaggio per alcuni aspetti: manca di un sistema di simboli riconosciuto universalmente, dal momento che il suo significato può variare in base all'interpretazione soggettiva del fruitore. Inoltre le immagini possono essere ambigue, polisemiche e prestarsi a numerosi fraintendimenti. Infine sono fortemente dipendenti dal contesto, essendo il significato di un'immagine influenzato dalla cultura, dalla storia e dalle esperienze personali del fruitore. In definitiva, la questione se la fotografia possa essere considerata un linguaggio vero e proprio rimane aperta. Tuttavia, l'opera dell'artista ci dimostra che le immagini possono essere utilizzate per comunicare idee complesse e costruire narrazioni evocative grazie al suo potente impianto comunicativo. Forse, più che di un linguaggio formalizzato, potrebbe essere corretto parlare di un "linguaggio in divenire", un terreno fertile per la sperimentazione, dove le immagini si affrancano dalla mera rappresentazione del reale per assumere un ruolo di narrazione e introspezione psicologica. In conclusione, la fotografia non è un linguaggio come il verbo o la scrittura, ma possiede comunque la capacità di creare un dialogo potente tra le cose. Infine se l'immagine verrà raccordata e congiunta ad un testo scritto e se il linguaggio farà da legante nel dialogo aperto che si instaura sia a livello della singola immagine sia nel rapporto tra più fotografie, ecco che anche il concetto di relazione diventa a dir poco centrale.
Ma allora quale ruolo potranno mai avere le relazioni in un lavoro come questo? Jorge Luis Borges nel suo celebre racconto: “L’idioma analitico di John Wilkins” propose una stravagante classificazione dell’Emporio celeste di conoscimenti benevoli (una curiosa enciclopedia cinese) che colpì, fra gli altri, Michel Foucault, il quale la indicò come ispirazione del suo saggio: “Le parole e le cose”. Cito testualmente: “Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) appartenenti all’Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s’agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche”. Questo maestoso esempio di letteratura fantastica è proprio l’anello di congiunzione di cui avevo bisogno per dar vita (artistica) al mio personale gruppo di relazioni che posso, finalmente, presentare in via ufficiale:
1. Relazioni per prossimità contigue, sovrapposte e intrecciate come amanti o soci in affari.
2. Relazioni che si sfiorano, come due sconosciuti che leggono gli stessi versi.
3. Relazioni parallele quelle che non si incontrano mai, ma condividono lo stesso percorso.
4. Relazioni cicliche come le stagioni che si susseguono o le maree che si alternano.
5. Relazioni effimere come i riflessi sulla superficie dell’acqua o le ombre al tramonto.
6. Relazioni radicate come gli alberi secolari che crescono in un’antica foresta.
7. Relazioni speculari come due specchi che si riflettono all’infinito.
8. Relazioni labirintiche, complesse, intricate, dove il percorso è un mistero.
9. Relazioni trasformative che cambiano le persone come un viaggio in un paese lontano.
0. Relazioni invisibili che esistono solo negli sguardi e nei silenzi.
Un concetto chiave espresso da Arthur Danto, filosofo e critico d’arte statunitense e che mi ha costantemente accompagnato durante la realizzazione di questo lavoro, è la capacità dell'arte di "trasfigurare" oggetti ordinari in opere d'arte. Questo processo di trasfigurazione, quando diventa oggetto di riflessione esplicita, può rendere un'opera filosofica. E adesso che le premesse ci sono davvero tutte, posso finalmente invitarvi a vedere questo concentrato di fotografie insolite!
Il primo polittico è dedicato alle relazioni per prossimità: contigue, sovrapposte e intrecciate come amanti o soci in affari. In questa prima catena di eventi visivi, una singolare processione di formiche passeggia su un nastro di seta bianca, avvolto tra i rami spogli di un glicine. Le formiche aprono questo lavoro emergendo come una metafora potente e straordinaria e gettando le basi per introdurre lo spettatore in questo affascinante microcosmo immaginario. Ogni loro movimento è una coreografia di millimetrica precisione; ogni azione è simile ad un algoritmo sofisticato che segue una sequenza precisa per incastrarsi in un disegno più grande. Nel loro metaforico incedere, le formiche incontreranno dapprima una statua classica scolpita in una pietra dall'insolito aspetto setoso e poi delle colonne. Così come l’occhio della statua è oscurato da una fitta ombra, anche il capitello di una delle due colonne resta nascosto sotto un lungo velo, lasciando scoperte solo le mani di una curiosa figura che accosta al proprio corpo, come figli, due grossi esemplari di tartaruga. Queste ultime sono così ben radicate al terreno da sembrare quasi i piedi di una statua in bronzo, dalla quale si diparte un nastro di seta bianca che avvolge, nuovamente, il ramo spoglio di un glicine, su cui si è posata, pronta a riprendere il volo, una graziosa colomba. È proprio vero che le formiche arrivano ovunque: sono già pronte a suggerire un nuovo inizio, un nuovo intricato percorso o, semplicemente, una successiva serie di immagini. In fondo, quei minuscoli e instancabili insetti potremmo essere noi stessi, esploratori nel vasto universo della comunicazione attraverso la potenza evocativa del linguaggio e la magica suggestione delle immagini. Noi, che ci affanniamo a tessere complesse reti di significato e a scoprire connessioni profonde tra le cose. Noi, che come le formiche, avanziamo passo dopo passo, parola dopo parola, immagine dopo immagine, nel tentativo di decifrare e plasmare il mondo che ci circonda in un eterno balletto di scoperta e creazione del senso. Il secondo polittico esplora le relazioni che si sfiorano, come due sconosciuti che leggono gli stessi versi o il fugace incontro di anime affini le cui vite si intrecciano per qualche breve istante. Queste relazioni fanno emergere una nuova dimensione percettiva, un "afferrare-con-la-mente" che trascende i sensi ordinari, dove la vista -quel senso che spesso consideriamo sovrano nella nostra ricerca di conoscenza- cede il passo a una percezione più sottile e profonda, consentendoci di fiutare l'essenza stessa delle cose e di captare quel soffio impalpabile che danza oltre i confini del tangibile. Così dai margini del doppio ritratto centrale, dove una maschera cela gli sguardi, questa astratta idea di sfioramento si propaga come un’onda lunga, ridisegnando con tocco etereo i contorni delle immagini adiacenti. Lambisce il soffione di un tarassaco, i cui semi sospesi nell'aria, tremano al più lieve alito di vento, pronti a disperdersi in un volo silenzioso. La loro effimera esistenza riecheggia nella fiamma vacillante di una candela percepita da un uomo bendato. Sul fronte opposto l’ardore pungente di una splendida medusa, quasi gelosa, fa da contrappunto alla pervasiva dolcezza con cui il polipo, anch’esso avvolto nell’oscurità, estende i suoi tentacoli in cerca di un approdo sicuro su una ruvida roccia sottomarina, incarnando forse la perenne ricerca umana di connessione e stabilità nei fluidi e mutevoli abissi dell’esistenza. Nel terzo polittico trovano posto le relazioni parallele: quelle che non si incontrano mai, ma condividono lo stesso percorso. Nel tentativo di esplorare visivamente la loro natura, ho trovato il curioso espediente di affiancare due relazioni distinte ma concomitanti, ognuna delle quali formata da tre diverse immagini. E dal momento che parliamo di parallele perché non dedicarle al controverso quinto postulato degli Elementi di Euclide che diede origine alle geometrie ellittica e iperbolica? Procurando, tra gli altri, non pochi grilli per la testa ad un busto immaginario del celebre matematico e filosofo greco! I due grilli, che chiameremo Nikolaj Ivanovič e Georg Friedrich Bernhard, sembrano infatti confabulare a proposito di una strana impalcatura in legno che prova a mettere insieme assi parallele, allo scopo di dar forma ad una primordiale elica di DNA. Decisamente una buona metafora per una teoria matematica, come spiegò l’attenta lucertola, dove il DNA può essere paragonato a un sistema assiomatico in cui le basi azotate (Adenina, Timina, Citosina e Guanina) fungono da assiomi, mentre le regole di accoppiamento delle basi (A-T e C-G) prendono il posto dei teoremi derivati dagli assiomi. In sostanza, Assiomi e Teoremi lavorano insieme Con Gentilezza per formare la struttura complessiva del DNA, proprio come gli equivalenti della geometria euclidea. Sempre, però, che tutto vada per il verso giusto e non ci si ritrovi con una teoria che va in pezzi come un uovo di struzzo decorato con grafici e formule. Parallelamente, è proprio il caso di dirlo, il nostro baldo busto, si è come intrappolato da solo in una complessa impalcatura, sognando quel mondo perfetto, fatto da rette parallele in grado di creare complicate ed imponenti strutture. Un modo incostante per sognare l’infinito e riuscire a vedere proprio il punto preciso in cui si incontrano due rette che non hanno nessun punto in comune! Le relazioni cicliche, come le stagioni che si susseguono o le maree che si alternano, sono il tema centrale del quarto polittico di questa collezione. Tali immagini non mirano a risolvere l'enigma se abbia avuto origine prima la farfalla o la crisalide, bensì ad esplorare la dimensione del tempo, immaginato come una spirale nodosa e infinita che si è avvitata su un proprio asse. Il soggetto principale è un solo ed unico volto che si propaga ciclicamente attraverso una serie di trasformazioni temporali, mantenendo sempre uno sguardo intenso e diretto sul presente. L'insieme evoca l'albero della vita, raffigurato nelle sue due fasi stagionali. Tuttavia, a una riflessione più profonda, questa rappresentazione si rivela ingannevole poiché lungo questa enigmatica spirale di perpetuo e ciclico mutamento, non possono esistere né punti mediani né rette parallele destinate a incontrarsi. Anche la stessa direzione o rotazione di questa vortice della ciclicità si rivela un’illusione, non dissimile dal nostro riflesso in uno specchio. Le relazioni effimere, come i riflessi sulla superficie dell'acqua o le ombre al tramonto, quale influenza potranno mai esercitare nel complesso gioco di causa ed effetto che governa l'esistenza? Sulla sommità di una rupe selvaggia, una figura femminile spicca contro il cielo. Avvolta in un abito bianco, impugna un arco teso, la freccia puntata verso l'orizzonte, pronta a solcare l'aria. Il suo sguardo, fiero e determinato, sembra lanciare un messaggio al mondo, un anelito verso l'ignoto che simboleggia volontà, forza e precisione dei sentimenti. Ma la freccia, nel suo volo inesorabile, infrange un'anfora antica e preziosa, custode di una misteriosa figura di marmo e seta, per poi lambire il cuore di un malfermo Narciso di pietra. Le relazioni effimere, come i paradossi di Zenone, rispecchiano la duplice natura della freccia: in perenne movimento eppure immobile nello spazio. Nessuna entità effimera è realmente tale! Ma nell'impossibilità di raggiungere il punto B (il traguardo finale) dal punto A (l'origine), la freccia attraverserà comunque una moltitudine di punti intermedi, lambendo la superficie delle fotografie, prima di confrontarsi con l'inconsistenza del suo stesso moto. Nel suo viaggio metaforico, supererà in velocità persino l'eroe greco per eccellenza, affinchè possa dirsi chiuso il cerchio del paradosso. Impossibilitata ad agire, la freccia non distruggerà né anfore, né cuori di pietra. Nella sua vana corsa verso il mare, resta solo il dubbio se le relazioni effimere, come i riflessi sulla superficie dell'acqua, potranno mai esercitare un'influenza tangibile nel complesso intreccio di cause ed effetti che regola il nostro mondo! Le relazioni radicate come gli alberi secolari che crescono in un’antica foresta, sono l'argomento del sesto polittico. Da un certo punto di vista si potrebbe asserire che l'intero concept di LOW può essere interpretato come una gigantesca relazione radicata! Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer paragonava il legame tra musica e volontà a una forza metafisica primordiale in grado di animare l'intero universo, allo stesso modo c'è un rapporto intenso e profondo tra la forza di un cuore umano che batte e il ritmo di un tamburo che risuona in una foresta. Di non minore impatto è la mano, strumento di creazione e di espressione, principale artefice della scrittura, che con il suo tocco delicato può dare vita a mondi immaginari, dove prendono posto i nostri simulacri, proprio come lo sguardo vuoto di una statua illusoria con un solo occhio rivolto al mondo. E quando la mano gentile di una donna torna a posarsi sul cuore, in un gesto di affetto e protezione, è come se un'armonia perfetta venisse raggiunta. Un'armonia che riecheggia nelle profondità del nostro essere, connettendoci all'universo in un cerchio infinito di amore e comprensione. Le relazioni speculari come due specchi che si riflettono all’infinito, contigui, sovrapposti e intrecciati come amanti, sono l’argomento di questo settimo polittico. Per comprenderne la sua natura è necessario tornare indietro lungo l’intera catena di immagini che ci ha portati fin qui. Questa è la ragione per cui sarà affidato ad una bambina il compito di accompagnare per mano la relazione speculare. Nel gioco senza senso dei riflessi può infatti succedere che la relazione speculare non si limiti più a creare un collegamento tra immagini adiacenti ma, ricorsivamente, produca ulteriori concatenazioni e correlazioni anche coi precedenti polittici. E così, nella seconda foto, incontriamo una giovane donna che nell’atto di sfiorare una mela, dà vita ad un riferimento col secondo polittico sulle relazioni che si sfiorano. L’attesa della donna è però un rimando al gioco di continui riflessi: come se quel gesto, incompiuto, fosse ripetuto infinite volte. Un gioco che potrebbe trovare analogie anche con le relazioni parallele: quelle che si manifestano in maniera simile a due specchi posti l’uno di fronte all’altro! Fenomeno che ci riporta, inevitabilmente, ad un’idea di ciclicità, come le stagioni che si susseguono, già scandito nel quarto polittico dove un'immaginaria figura femminile incarna giovinezza, maturità e vecchiaia lungo un’identica regione di spazio, quasi si trattasse di tre figure distinte ma simili, presenti e assenti allo stesso tempo, come le maree che si alternano. E se tutto ciò dovesse apparire troppo effimero, in fondo va ricordato che questo era proprio l’argomento del quinto polittico, reso attraverso una curiosa versione del vaso di Pandora il cui interno però è colmo, fino a rompersi, di terra e radici: emblema di un'unica stagione di creazione e distruzione per il tramite della sostanza di cui sono fatti gli alberi secolari di un’antica foresta. Ma anche il tentativo di connettersi in un cerchio infinito di amore e comprensione. L’ottavo polittico sulle relazioni labirintiche, complesse, intricate, dove il percorso è un mistero, è dedicato a J.L. Borges. Nel dedalo delle relazioni umane, ogni passo è un enigma e ogni svolta può condurre ad un nuovo arcano. Come in un giardino di sentieri che si biforcano, ogni scelta ci porta lungo una direzione ignota, dove il cuore può trovare un compagno o perdere se stesso nel dedalo dell’esistenza. Le relazioni si trasformano allora in un testo scritto in una lingua sconosciuta; possiamo tentare di decifrarle, ma il vero significato rimane celato tra le pieghe del tempo e dell’interpretazione. Borges avrebbe potuto dire che amare è cercare di leggere una pergamena indecifrabile, dove ogni parola promette l’infinito e ogni silenzio nasconde un abisso. In questo labirinto, non esiste un Minotauro da sconfiggere, ma solo l’eco dei nostri passi e la lontana luce di ciò che potrebbe essere la verità. Le parole diventano i mattoni di cui sono fatti i grovigli delle nostre menti. Costruiamo muri di frasi e svincoli di concetti, creando una rete inestricabile in cui perderci e ritrovarci, infinite volte. Forse, l’unico modo per navigarci è accettare che il percorso stesso diventi il nostro destino, e che ogni intricato passaggio è solo parte della nostra mappa personale verso l’ignoto. Il penultimo polittico di questa collezione esplora le relazioni trasformative che cambiano le persone, come un viaggio in un paese lontano. È anche l'unico a presentare una foto che inizia con il bianco, rompendo, piacevolmente, la consolidata tradizione di utilizzare solo immagini in chiave bassa. D'altronde, sono le eccezioni a confermare le regole. Dai flutti del mare si è sollevata una scura scogliera, da cui è nato un albero. Non sappiamo quali caratteristiche avessero le sue foglie o quale fosse la trama della sua corteccia, ma lo immaginiamo come una magnifica forma di vita in trasformazione: dall'acqua alle radici, e dalle radici alle ali di libellula, trasparenti come un delicato ricamo e molto eleganti, affinché anche i fiori possano splendere accanto a tutte le altre forme di vita, senza tralasciare neppure quelle ormai estinte. E dal momento che tutte le trasformazioni avvengono su un filo comune, possiamo liberamente supporre che anche la trama che unisce uomini e dinosauri sia stata ricavata solo da ortensie e gigli. Attraverso la lunga catena delle metamorfosi, rimane sempre qualcosa di struggente nel gioco delle relazioni trasformative, che siano i flutti del mare o lo sguardo di ipotetiche e futuristiche forme di vita. Le relazioni invisibili che esistono solo negli sguardi e nei silenzi, chiudono questo lavoro nella consapevolezza dei tanti vuoti ancora da colmare. Ad interessare di più nell’ultimo polittico è però l’immagine di una rosa, i cui petali sono scolpiti nella pietra. La fotografia di una roccia è quanto di più statico si possa pretendere: immagine congelata di un oggetto immobile e inanimato. Eppure nella trama dei petali c’è il disegno di un processo lungo e laborioso che richiama proprio il movimento instancabile delle formiche che ha dato inizio a questo racconto. Alla fine si è deliberatamente scelto una forma di silenzio, resa da una geometria astratta e circolare, un tentativo di purificazione che ha richiesto un percorso tortuoso e in salita. Forse questo è il motivo del vecchio saggio seduto in contemplazione di un curioso quanto improbabile solido platonico. Quella persona è lì per ricordarci che anche se siamo davanti un muro impenetrabile, c’è sempre una luce radente pronta a donare luce ai nostri pensieri. Non esistono architetture rigide o troppo squadrate che possano impedire alla fantasia di vagare libera tra le ombre profonde, il nero dello sfondo e i tanti nodi sul tema delle relazioni di quest’opera.
EPILOGO. Nella citazione iniziale di Michel Foucault c'è tutta la mia personale visione sui soggetti che ho scelto per questa collezione: sono i miei contro-spazi, i quali cancellando una parte del buio quadrato iniziale, trovano la propria dimora in questo universo di figure illusorie e di storie improbabili. Il connubio tra linguaggio e precisione fotografica continua ad appassionarmi per l’inesauribile capacità di presentare al nostro sguardo una realtà che sa essere contemporaneamente sia vera che falsa!
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