Meditazioni Metafisiche
“La ragione non è nulla senza l'immaginazione.”
René Descartes
“Io sono un essere che pensa, che dubita, che nega, che conosce solo poche cose, che ne ignora molte, che odia, che vuole e che non vuole, che immagina, che ama e che sente. E che pur sapendo che tutte queste cose potrebbero anche non esistere, sa invece che esistono tutte dentro il suo cervello.”
René Descartes
“Nessun filosofo del passato ha contribuito in modo così decisivo al senso della fenomenologia come il maggior pensatore francese, Renato Cartesio. È lui che la fenomenologia deve onorare come suo patriarca.”
Edmund Husserl
«Nell'interstizio tra cogito ed essere, mi ritrovo intrappolato in un labirinto di parole che serpeggia fin sotto la mia pelle cartacea. Il giovane Husserl, con la sua penna affilata come un bisturi, ha dissezionato le mie ardite meditazioni, facendo sgorgare dal mio volto bidimensionale una lacrima d'inchiostro, essenza stessa del mio essere. Lasciate che vi sveli il paradosso della mia esistenza: sono Cartesio, un autentico falso ritratto. Un simulacro di Carte e pigmenti, illusione tangibile che sfida la propria non-esistenza. Padre riluttante della modernità filosofica, sono qui per (rap)presentare questa prima Foto(so)fia, neologismo che danza sul filo del rasoio tra immagine e pensiero, figura bifronte nel pantheon dell'arte contemporanea, che incarna da un lato l'essenza di un'opera visiva e dall'altro si propone come una metodologia per decifrare l'enigma del reale.
Io -replicò lapidario lo scheletro del dinosauro- sono invece l'esperienza sensibile!
E così, in questa prima surreale visione un filosofo di carta, un diuturno dinosauro loquace e voi, spettatori-pensatori, siete tutti intrappolati nell'eterno enigma del reale e dell'illusorio, del pensiero e della materia, dell'arte e della filosofia.»
Queste due composizioni digitali traggono ispirazione dalle Meditationes de prima philosophia di René Descartes e dalle successive Cartesianische Meditationen del filosofo tedesco Edmund Husserl. Più in generale, nel quadro della filosofia occidentale, le Meditazioni rappresentano modelli di autoriflessione filosofica che si propongono come una sorta di pensiero radicale alla ricerca di un terreno solidissimo sui cui fondare ogni possibile conoscenza. Confesso che mi appassiona ogni giorno di più la prospettiva di andare alla ricerca di caratteristiche comuni tra la sfera dell'arte e quella del pensiero filosofico. Entrambe queste discipline si presentano al cospetto della mia mente come due vecchi saggi, pronti a sfidarsi nell'elegante cornice di un dialogo incessante e smisuratamente stimolante.
Ma lasciate che ritorni velocemente a Cartesio e alla mia modesta e moderna interpretazione fotografica (di cui vado piuttosto fiero), il quale affrontò in modo brillante l'irrisolta questione della metafisica, ovvero: su quali basi una conoscenza può ritenersi legittima? Qual è il criterio fondante della scientificità? René Descartes propose una progressiva e sistematica messa in discussione di ogni aspetto dell'esperienza umana, alla ricerca dell'indubitabile, di ciò che è al di fuori di ogni possibilità di errore, il punto immobile su cui edificare l'intero universo del sapere. Edmund Husserl, similmente, si chiese: cosa c'è di sicuro nell'esperienza del mondo? Individuando in questa domanda anche i limiti della posizione cartesiana: non riteneva infatti possibile che il famoso dubbio metodico dell'illustre collega francese, potesse lasciare il posto alla verità. Per Husserl ciò di cui non si può ragionevolmente dubitare è l'offrirsi delle cose in quanto correlati d'esperienza: esse si manifestano, sono presenti. Le cose del mondo ci si offrono a prescindere dal loro valore ontologico e dal nostro atteggiamento speculativo nei loro confronti. Ma non è questa la sede per varcare la selva dei fitti pensieri di questi due straordinari interpreti della filosofia. Ciò che mi interessa portare all'attenzione di voi spettatori è che in questo mondo-specchio ci sono tre pilastri che si ergono come monumenti al pensiero:
- La ricerca di fondamenti certi per la conoscenza
- La centralità della coscienza nell'indagine filosofica
- La critica alla conoscenza ingenua o non esaminata
A pensarci bene, anche nell'esercizio quotidiano dell'esperienza artistica succede di ritrovarmi costantemente al cospetto degli stessi punti comuni che emergono dalle due precedenti Meditazioni. Può darsi che ciò accada perché queste due discipline sono come due facce della stessa moneta cosmica, le analogie sono maggiori delle apparenti divergenze! Nel seguito delle mie composizioni artistiche, a cui ho dato il nome di Foto(so)fie, mi proporrò di considerare come fondamentale presupposto la circostanza che qualsiasi definizione di arte non può prescindere da una profonda affinità con le più basilari indagini della filosofia. Altrimenti detto, oltre un certo orizzonte, le due discipline mi appaiono sempre più perfettamente fuse in un'unica vasta metodologia di ricerca. Come l'onda e la particella nella fisica quantistica: due aspetti della stessa ineffabile realtà! L’evoluzione delle idee - Epilogo
«La mongolfiera nera con graffi bianchi è una metafora della coscienza o subconscio, una camera d’aria ricolma di idee e concetti che germogliano dal mondo sensibile, collocato nella parte bassa dell’immagine. La res extensa è intrappolata nella bolla di fango, in parte fluida e per metà rappresa, avvolta in una nera ossatura tellurica, la cui silhouette ricorda il seno di una donna. C'è una chiara similitudine tra la bocca della mongolfiera e la vena di fango centrale, ma non c'è nulla che faccia da tramite tra pensiero e realtà. Nel centro dell'immagine si estende solo un deserto spoglio, bianco, un vuoto che divora ogni tentativo di connessione tra i due poli, reso formalmente dal netto salto tonale. La rozza e precaria impalcatura del pensiero razionale è appena un'effimera Torre di Babele che osa unire ciò che è diviso ma è anche un preludio al tema della follia!
Lo stile di questa immagine, caratterizzata da una forte tensione, richiama un esercizio calligrafico, poiché si prefigge di tradurre in segno foto-grafico la scrittura a mano, coi suoi bruschi contrasti e le sue ricercate imprecisioni.»
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