Monologue


“Πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι.
(Il conflitto è padre di tutte le cose.)”

Eraclito

“Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?”
Luigi Pirandello

Concept
      Una statua, emblema millenario della perfezione formale, diviene campo di battaglia per forze contrapposte. Nell'interstizio tra verità, libertà e mondo, si apre la ferita scarlatta che spezza e attraversa l'opera, non cicatrice ma piuttosto rivelazione, squarcio che disvela l'impossibilità di una sintesi armoniosa. Questa creazione sospesa tra fotografia, intervento pittorico e concettualizzazione filosofica, manifesta la tensione irrisolta del contemporaneo. L'ideale classico, con la sua promessa di unità e completezza, viene frammentato dalla violenza del segno rosso che ne interrompe la continuità visiva e ontologica.
      Lo stesso titolo è una rivelazione: ciò che osserviamo è la rappresentazione di una comunicazione infranta. La figura classica, tradizionalmente veicolo di dialogo universale tra epoche e culture, si ripiega ora su se stessa in un impenetrabile soliloquio. Il segno rosso non è solo divisione formale, ma barriera insormontabile che impedisce ogni autentica comunione con l'altro. In questo senso, l'opera diviene specchio della nostra condizione esistenziale contemporanea: esseri condannati a un monologo perenne, incapaci di trascendere i confini della nostra soggettività. La verità personale, la libertà individuale e la percezione del mondo rimangono esperienze irrimediabilmente private, creando quella che potremmo definire una clausura metafisica, uno spazio interiore inaccessibile all'altro. La statua, nel suo gesto congelato e frammentato, rappresenta il paradosso della comunicazione umana: più cerchiamo disperatamente di esprimerci, più profondamente ci confrontiamo con l'impossibilità di essere realmente compresi. La frattura rossa diviene così metafora dell'incomunicabilità fondamentale che ci separa, trasformando ogni tentativo di dialogo in un monologo parallelo.
      Eppure, nella sua drammatica verità, l'opera non approda al nichilismo. La stessa crepa, nel suo violento splendore cromatico, diviene elemento generativo di significato. Forse è proprio nell'accettazione del monologo come condizione esistenziale che possiamo trovare una nuova autenticità, non più nell'illusione di una comunicazione perfetta, ma nella consapevolezza dei limiti intrinseci del linguaggio e dell'essere. Monologue ci invita a ripensare la nostra relazione con la verità, la libertà e il mondo non come conquiste assolute, ma come esperienze frammentarie che, nella loro incompletezza, riflettono la bellezza tragica della condizione umana.

Postscriptum
      Quest’opera si inserisce nella spaccatura che Jacques Rancière identifica tra le due forme dominanti del consenso estetico contemporaneo. Né spettacolo compiaciuto né semplice testimonianza del trauma, l'opera abita consapevolmente quello spazio di tensione irrisolvibile tra autonomia dell'arte e sua dissoluzione nella vita. La ferita che lacera la statua non è solo metafora dell'incomunicabilità esistenziale, ma dispositivo di dissenso che riconfigura la partizione del sensibile. Attraversando verticalmente l'immagine, questo segno violento interrompe sia la contemplazione estetica dell'ideale classico sia la sua riduzione a documento etico. Nel paradosso di una comunicazione infranta che si fa immagine, l'opera crea una scena di soggettivazione dove lo spettatore è invitato non all'identificazione empatica né al consumo spettacolare, ma a un'esperienza di disidentificazione produttiva.
      La chiusura metafisica ed esistenziale evocata dall'opera non è quindi una semplice testimonianza della condizione contemporanea, ma un'apertura verso nuove possibilità del pensiero. Proprio nell'accettazione del disagio – questa tensione irrisolvibile tra verità, libertà e mondo – emerge lo spazio politico dell'arte come dissenso: creazione di una indeterminatezza fertile dove nuove configurazioni del sensibile diventano pensabili. Nella sua apparente chiusura comunicativa, quest’opera paradossalmente apre uno spazio di indecidibilità che resiste tanto alla dissoluzione dell'arte nella vita quotidiana quanto alla sua separazione in una sfera autonoma. È precisamente in questa resistenza, in questo disagio costitutivo, che l'opera trova la sua potenza politica più autentica.

Dichiarazione d’Artista
«Sono stata ideale e frammento, pura forma e solco vermiglio. Per millenni ho contenuto il silenzio della pietra e l'illusione della completezza. Mi hanno chiamata armonia, bellezza e verità: nomi che scivolano via dalla mia superficie come l’acqua sul marmo. Adesso che questa ferita mi attraversa posso finalmente far udire la mia voce e parlare non certo della perfezione, ma della scissione. Non dell'unità, ma dell'impossibile riconciliazione. Ho cercato di tenere insieme mondo, verità e libertà nel gesto immobile della mia mano tesa verso l'invisibile e l’effimero. Ma queste sfere si respingono come magneti di polarità opposta e il mio corpo è divenuto un campo di battaglia. Sono stata tempio e sono divenuta rovina. La frattura non mi ha distrutta, mi ha rivelata, mentre il mio monologo non è chiusura, ma confessione: ogni comunicazione è sempre impossibile, ogni completezza sempre illusoria, ogni armonia sempre forzata. Vi guardo attraverso il mio squarcio e solo ora posso dirvi: non cercate in me ciò che non avete mai perduto. La verità è il taglio, la libertà è accettare l'inconciliabile, il mondo è questo spazio tra i bordi di una ferita che non sanerà mai. Nel monologo che nessuno ascolta è nascosta l'unica risposta: nella frattura, nell'assenza, nel silenzio tra le parole, sta ciò che ho sempre tentato di dirvi.»

● Abstract Compositions ●
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