La mia passione per la fotografia (intervista di Artmajeur)


"l trucco dell’umana esistenza non risiede solamente nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si sta vivendo."
Fedor Dostoevskij

Condivido con i lettori del blog questa intervista rilasciata ad Artmajeur. Buona lettura!


Cosa ti ha spinto a creare arte e diventare un artista? (eventi, sensazioni, esperienze...)
Uno dei primi ricordi di infanzia che spesso mi tornano in mente è quello di me e mia sorella, fermi, curiosi e in religioso silenzio -nonostante l'età dei bagordi- sul bordo della scrivania di mio padre, mentre lui, pacatamente, armeggia con tele, colori, tubetti, stracci, tavolozze e pennelli. In etologia, l’Imprinting (inteso come impressione, traccia, conio) è un tipo di apprendimento per esposizione: penso che quelle esperienze (molto) giovanili abbiano segnato in maniera indelebile la mia visione del mondo e dell’arte. Più tardi ho intrapreso studi scientifici e ho capito che la sola dimensione analitica e metodologica della scienza non era sufficientemente appagante senza l’aggiunta di un tocco di irrazionalità, o l’aggiunta di un qualche gesto guidato dal caso e dall’istinto.

Qual è il tuo background artistico, le tecniche e le materie che hai sperimentato finora?
La mia passione per la fotografia è nata all’università, attraverso l’incontro, quasi fortuito, con il fascino e la magia della camera oscura. Ricordo che la mattina studiavo fisica, analisi, chimica… mentre il pomeriggio, quando potevo, mi intrufolavo nelle aule dell’accademia di belle arti per seguire corsi di fotografia o qualche seminario. Successivamente ho iniziato a lavorare nel campo dell’ingegneria del software e ho apprezzato tutte le tecnologie legate al digitale, dal fotoritocco alle animazioni, dagli scenari virtuali in 3D al mondo dell’intelligenza artificiale. Ma non ho mai perso quell’antico gusto per la stampa, l’odore della carta, la piacevole sensazione tattile dei supporti, le contaminazioni con la pittura, cercando di unire sempre innovazione e artigianalità.

Quali sono i 3 aspetti che ti differenziano dagli altri artisti, rendendo unico il tuo lavoro?
Bernardo di Chartres diceva che siamo nani sulle spalle di giganti: questo significa che ogni lavoro non è mai del tutto originale, ma anche che ognuno di noi ha sempre qualcosa di unico. Il gioco consiste nel capire come muoversi sull'orlo di questa contraddizione tra unicità e differenza. La mia peculiarità è quella di non riuscire a separare la scienza dall’arte, non mi piace farmi influenzare dalle mode o dai gusti dominanti, e preferisco spazi di solitudine e di silenzio. Anche lo studio della filosofia ha plasmato il mio approccio all’arte e mi ha fatto apprezzare autori come De Chirico. Lentamente sono riuscito a conciliare differenze e affinità.

Da dove viene la tua ispirazione?
La lettura, sia saggistica che letteraria, è sicuramente la mia principale fonte di ispirazione insieme alla musica, sia classica che moderna. Mi interessa più che mai l’aspetto ideale delle cose rispetto ad una visione più fenomenologica del mondo. Il “come” e il "perché" prima ancora del “cosa”. Quindi osservo molto ma fotografo ultimamente con estrema ponderazione. Cerco anche ispirazione negli spazi aperti, nel vuoto, nella meditazione, fuori dai rumori del nostro tempo che sono spesso causa dei troppi pensieri confusi.

Qual è il tuo approccio artistico? Quali visioni, sensazioni o sentimenti vuoi evocare nello spettatore?
L’arte vive grazie allo spettatore, che è il partner principale dell’autore. Per collaborare bene, lo spettatore va stimolato con dubbi, interrogativi, domande aperte, doppi sensi, paradossi, quando occorre va preso anche con ironia e irriverenza. Occorre sempre cercare di infrangere quella visione fatta di luoghi comuni, immagini inflazionate o troppo scontate. Mi piace creare quelle che io chiamo “discontinuità visive”, ovvero punti di rottura che ci spingono a chiedere, a farci continuamente delle domande. Per non essere eccessivamente irruente col mio spettatore, cerco sempre un equilibrio formale che dia anche piacevolezza e riposo allo sguardo (ma non alla mente), senza mai abbandonare quel radicato sottofondo di fantasia e gentilezza.

Qual è il processo di creazione delle tue opere? Spontaneo o con un lungo iter preparatorio (tecnico, ispirato ai classici dell'arte o altro)?
La creazione parte da un seme spontaneo, una prima luce, un’immagine latente. Poi segue un lungo e articolato iter preparatorio, guidato dalla mia anima scientifica. Uso una metodologia il più possibile rigorosa, fatta di prove ed errori, dove l’opera è come una sorta di teorema matematico da falsificare. La metto alla prova, l'attacco su vari fronti, per far emergere punti deboli o aspetti da definire meglio. Questo processo può durare anche mesi, finché non raggiungo una forma, più stabile e definita. Ma qualsiasi risultato non è mai definitivo, rappresenta solo una pausa di riflessione, perché nuove idee, nuovi semi, sono già in agguato e possono cambiare tutto, riaccendendo la fiaccola della fantasia. Nonostante impegno, rigore e passione, è però sempre il gioco a guidare il cammino, una sorta di giostra che gira continuamente senza fermarsi mai, alla ricerca di uno sguardo poco contaminato proprio come quello dei bambini.

Utilizzi una particolare tecnica di lavoro? se si, me lo puoi spiegare?
Parto quasi sempre da un gruppo di foto o dalla bozza di un precedente lavoro che ho lasciato in uno stadio larvale o incompleto. Poi comincio ad elaborare le prime immagini, aggiungendo e togliendo elementi, finché non trovo l’equilibrio giusto per la struttura visiva che ho in mente. Dopo le prime fasi, seguo un approccio più di natura decostruttiva che consiste nel togliere elementi per ripulire la scena e rendere l’immagine più pura ed essenziale.

Ci sono aspetti innovativi nel tuo lavoro? Puoi dirci quali?
La fotografia è la base della maggior parte delle mie opere. È la disciplina che ha avuto le più grandi innovazioni tecnologiche nell’arte ed è un invito a sperimentare il più possibile. Per esempio, ho iniziato ad addestrare una rete neurale generativa sulle mie foto, per cercare di creare immagini con tecniche di intelligenza artificiale che presentino uno stile il più possibile simile al mio. Un’altra cosa che faccio è scattare foto insieme a scansioni in 3D dello stesso soggetto per poi ricombinarli in post-produzione. Attualmente mi piacerebbe approfondire come personalizzare il software di guida di un drone, da usare per avere punti di ripresa più efficienti e immagini di maggiore qualità. In definitiva la fotografia stessa, per come è da intendere oggi, è quanto di più innovativo ci sia anche per la sua straordinaria natura di far apparire come vero (o verosimile) tutto ciò che è invece falso e viceversa.

Hai un formato o un mezzo con cui ti senti più a tuo agio? se sì, perché?
Dal punto di vista dei mezzi, come anticipato, mi piace molto sperimentare per cui, dove possibile, cerco di cambiare spesso tutto il workflow dell’attrezzatura di lavoro (fotocamere, computer, scanner, stampanti, carte...). Diversamente nel formato mi sento molto più a mio agio con le immagini quadrate: mi restituiscono un senso di maggiore armonia. Inoltre il mio personale approccio di riempimento e svuotamento della scena viene, in un certo senso, semplificato da questo formato. Tale scelta credo che dipenda anche da quel profondo interesse che lega matematica e arte nella ricerca dell’equilibrio.

Dove produci i tuoi lavori? A casa, in un laboratorio condiviso o nel tuo laboratorio? E in questo spazio, come organizzi il tuo lavoro creativo?
Nella mia casa studio, ho diversi spazi per pensare, operare e studiare. Il mio lavoro parte da un testo che sintetizza l’opera, poi scatto le prime foto e inizio ad elaborarle al computer. A volte uso anche bozzetti o stampe preliminari per chiarire alcuni dei successivi passaggi. Dopo un primo “prototipo”, entro in una sorta di loop: inizio a revisionare il testo per definire meglio gli aspetti estetici ed operativi, migliorando anche le attività di produzione e post-produzione. Il lavoro segue l’andamento di una melodia, con alti e bassi, pause, momenti vibranti e pacati. Ho constatato che mi riesce quasi impossibile lavorare se non sono in compagnia della buona musica.

Il tuo lavoro ti porta a viaggiare per incontrare nuovi collezionisti, per fiere o mostre? Se sì, cosa ti porta?
Ho viaggiato per diversi anni, ma in questo periodo ho scelto una vita più tranquilla e meno movimentata. Viaggio quindi molto meno, ma cerco di incontrare in altri modi persone interessate al mio percorso artistico e professionale, come autori, promotori, curatori o collezionisti.

Come immagini l'evoluzione del tuo lavoro e della tua carriera di artista in futuro?
Questo periodo è pieno di opportunità e nuove conoscenze, sono, ad esempio, molto concentrato sullo studio della creatività: un punto di incontro tra coscienza e incoscienza dai tratti ancora così misteriosi e poco esplorati. Vorrei anche creare un mio personale “laboratorio di ricerca” dove poter sperimentare e approfondire questo argomento attraverso la realizzazione di nuovi lavori e idee che sostengono il mio cammino. Credo che la mia carriera di artista possa trovare spazio in questa visione, grazie anche alle maggiori possibilità di farsi notare da galleristi e curatori e alle nuove tecnologie che abbattono alcune barriere.

Qual è il tema, lo stile o la tecnica della tua ultima produzione artistica?
Il tema della mia ultima produzione artistica è una riflessione tra Terra e Umanità, un sodalizio che sembra essersi interrotto, spezzato. Ho così pensato di ricreare un immaginario di figure umane formate solo a partire da terra, radici e altri piccoli detriti. Qui, la figura umana prende forma grazie al lavoro silenzioso delle radici, attraverso una lenta costruzione guidata da un antico canto, una sorta di energia primordiale da cui sia la terra che l'essere umano hanno gradualmente tratto la loro esistenza. Dal punto di vista stilistico ho scelto una chiave scura, allo scopo di creare uno slittamento visivo tra il mondo reale e la nostra percezione il cui sguardo è inquinato dal rifiuto di entrare in connessione con la natura. Ciò è all’origine di queste visioni inquiete, nate dall’incapacità di riconoscere ed accettare le nostre più autentiche origini. Allo scopo di armonizzare meglio queste immagini ho scelto di utilizzare tecniche di costruzione a partire da agenti artificiali, mantenendo però un severo controllo formale dei risultati a garanzia della giusta qualità fotografica. Da questo lavoro sta prendendo vita anche un nuovo libro d’artista con immagini e parole nella forma di racconto.

Ci racconti la tua esperienza espositiva più importante?
L'esperienza espositiva più importante è quella che ho fatto alcuni anni fa in una personale presso Palazzo Serra di Cassano, sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. E' stata importante per diversi motivi: l'occasione di ritrovare persone con le quali alcune circostanze ci avevano allontanato, la possibilità di inserire la mostra all'interno di un convegno di studi che suggellava quella carattere più completo dell'arte che io vedo come esperienza culturale, non ultima la sensazione di attraversare, dopo alcuni anni di assenza, le stesse sale dove avevo avuto il piacere e il privilegio, da studente universitario, di ascoltare importanti studiosi, artisti e premi Nobel di mezzo mondo.

Se potessi creare un'opera famosa nella storia dell'arte, quale sceglieresti? E perché?
Risposta difficile che potrebbe anche compromettere l'esito dell’invito a cena con l’artista preferito! Sceglierei di creare il David di Michelangelo: essendo appassionato estimatore della statuaria, dall'antica Grecia in poi, il David rappresenta per me l'apice nella perfezione del processo creativo. Di quest'opera mi seduce la forza ma anche la fragilità di quell’unico blocco di marmo, la sua imponenza ma anche quel senso di leggerezza; l'eleganza unita alla ricchezza dei particolari, la singolare concentrazione dell'eroe biblico che rappresenta l’emblema di un metodo di lavoro rigoroso e inarrivabile.

Se potessi invitare a cena un artista famoso (vivo o morto), chi sarebbe? Come gli suggeriresti di trascorrere la serata?
Se disponibile vorrei invitare a cena per il prossimo fine settimana Giorgio De Chirico, gli chiederei, giusto per metterlo a proprio agio, di raccontarmi le sue prime esperienze con le letture di Nietzsche, che hanno dato il via alla sua pittura metafisica, quindi accompagnerei questa prima chiacchierata con una cena leggera (ricordando che De Chirico soffrì, durante il suo soggiorno a Firenze, di fastidiosi dolori addominali) per poi immergermi in una lettura più rigorosa di alcune delle sue opere, cariche di fascino e di mistero, provocandolo gentilmente, affinché possa offrire, semmai con la complicità di un buon calice di vino, le sue più celate ispirazioni.


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