Elogio della parola
“Con la modernità, in cui non smettiamo di accumulare, di aggiungere, di rilanciare, abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza, che dall'assenza nasce la potenza. E per il fatto di non essere più capaci di affrontare la padronanza simbolica dell'assenza, oggi siamo immersi nell'illusione inversa, quella, disincantata, della proliferazione degli schermi e delle immagini”
Jean Baudrillard
“Tu sei un artista, io un pensatore. Tu dormi sul petto della madre, io veglio nel deserto.”
Herman Hesse
Il titolo di questo breve post prende ispirazione dall'omonimo libro di Lamberto Maffei (Edizioni Il Mulino, 2018), medico e accademico dei Lincei, tra i maggiori esperti mondiali di neuroscienze. Quanto è importante la parola, intesa nel suo significato più esteso di pensiero, nel processo che sottende la nostra capacità di comprendere la realtà? E in che modo tutto ciò è collegato col mondo delle immagini?
Cominciamo con l'osservare che esiste una profonda differenza tra vedere e guardare. Generalmente guardare è una presa d'atto a livello dell'immagine retinica, un processo automatico, rapido ed esente da errori, che, dal punto di vista evolutivo, ci ha permesso di reagire rapidamente al presentarsi di un pericolo alla nostra vista. Diversamente per vedere intendiamo una presa di coscienza dell'immagine (siamo a livello della corteccia cerebrale) che innesca un processo legato al riconoscimento, a ciò che definiamo pensiero lento e che è collegato con l'emisfero del cervello legato al linguaggio. Per cui possiamo concludere che vedere è sostanzialmente un parente stretto del parlare e del pensare.
Negli ultimi anni il guardare sta però prendendo sempre più il sopravvento sul vedere: responsabile di questo fenomeno è, in gran parte, l'eccessiva quantità di immagini che ci vengono presentate quotidianamente, le quali si sottraggono sempre più frequentemente alla nostra capacità di giudizio e di analisi, processo diventato, al giorno d'oggi, troppo lento rispetto alle esigenze di una società sempre più dataista e informazionale. Un utilizzo consapevole delle nuove architetture software legate all'Intelligenza Artificiale Generativa, basate su una complessa articolazione delle capacità linguistiche dell'algoritmo, potrebbe provare a trasformarsi in uno stimolo per esercitare e riequilibrare l'assopita capacità di vedere grazie proprio alla potenza della parola e del linguaggio. Va ricordato che la parola rimane infissa nella memoria e nel nostro bagaglio di esperienze anche dopo che l'immagine è svanita. Ed è proprio grazie alla parola che siamo in grado di far riaffiorare tra i ricordi anche l'immagine di partenza.
Lascio allo stesso Maffei la conclusione di queste riflessioni:
“Il grande magazzino del vedere è fatto di parole. Sono portato a pensare che chi ha più parole vede di più.
Le parole sono la mia memoria, la mia narrazione: io sono fatto di parole, magari silenziose; quel poco che so, sono parole, stringhe di eventi che ritornano nella loro sequenza non solo grammaticale e sintattica, ma nella logica razionale o irrazionale del ricordo, e mi rifanno il mondo e mi rinarrano. E d'altronde il miracolo dell'evoluzione ha generato le parole affinchè l'uomo possa raccontare, così che al passare delle generazioni non vada perduto il patrimonio delle esperienze vissute. Che sarebbe l'uomo senza le parole?”
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