La fotografia tra Heidegger e Turing


“[...]l’arte contemporanea non si riproduce, si racconta.”
N. Heinich

“Io non dipingo quello che vedo ma quello che penso”
P. Picassso

      Il grande filosofo tedesco Martin Heidegger sosteneva che la tecnologia ha un impatto profondo sulla condizione umana. Questa si impossessa dell’orizzonte umano, rendendolo non del tutto libero ma vincolato dalla sua concretezza. In altre parole, è la tecnologia che condiziona l’uomo, influenzando il suo destino. Heidegger la definiva una “pro-vocazione”, perché anticipava e determinava il percorso che l’uomo doveva seguire. Questa visione critica della tecnologia evidenzia il suo ruolo nella nostra esistenza e quale esempio migliore possiamo trovare se non le trasformazioni che abbiamo vissuto nell’ambito della fotografia negli ultimi decenni? Tali innovazioni sono state così rapide e numerose da non lasciarci il tempo di assimilare profondamente il rapporto con gli strumenti usati nella creazione e modifica delle nostre immagini. Questa è stata almeno la mia personale esperienza sul campo, sempre attratta da ogni forma di innovazione e progresso. Ma con le immagini create dall'intelligenza artificiale la situazione potrebbe subire, in un certo senso, un punto di svolta: se ci sforziamo di interagire senza essere “manipolati” dall’algoritmo e senza ricorrere a soluzioni pasticciate nella vana ricerca di una propria autorialità, ci ritroviamo tra le mani una sorta di generatore di paradigmi visivi, una sorta di Macchina Fotografica Universale (MFU).
      Vorrei adesso proporre una curiosa analogia tra la neonata MFU e la più conosciuta MTU ovvero la Macchina di Turing Universale. Alan Turing, uno dei pionieri della teoria della computazione, ha ideato un modello astratto di un computer che può manipolare i dati contenuti su un nastro di lunghezza illimitata, seguendo un insieme di regole ben definite. Questa macchina è in grado di eseguire qualsiasi algoritmo, cioè una sequenza finita di passi per risolvere un problema. La macchina di Turing è un potente strumento teorico per studiare la calcolabilità e la complessità degli algoritmi, in quanto permette di capire quali sono i limiti del calcolo meccanico, è anche un’importante fonte di ispirazione per la filosofia, la logica, l’intelligenza artificiale e la crittografia. La Macchina di Turing Universale, proposta nel suo fondamentale lavoro del 1936, è invece un'entità in grado di simulare le evoluzioni di qualsiasi altra macchina di Turing: è proprio questo il senso con cui potremmo considerare gli algoritmi di generazione automatica di un'immagine a partire da un testo o da uno schizzo, frutto dei nostri pensieri.
      Tornando alla precedente identità tra Macchina di Turing Universale e Macchina Fotografica Universale ecco che la nostra MFU oltre a creare foto può anche simulare dei veri e propri paradigmi tecnologici. Questa caratteristica può essere intesa come la necessità di allentare la stretta dalle catene della tecnologia durante l'intero processo creativo, in modo da renderle meno determinanti rispetto al (recente) passato. Abbiamo altresì la possibilità di concentrarci maggiormente sulla nostra “vocazione”, limitando gli effetti della “pro-vocazione” di Heideggeriana memoria.
      A questo scopo desidero, in chiusura, commentare brevemente la foto che accompagna l'inizio di questo post: rappresenta la mia mano sormontata da una lente scheggiata del mio vetusto ingranditore fotografico Durst. La mano è la nostra volontà di continuare ad essere autori indiscussi del processo creativo, anche se schiacciata dal peso di una tecnologia “incrinata” dal suo stesso eccessivo sviluppo. Personalmente credo che continuerò a preferire l'uso della carta e delle mani per tracciare i segni dei miei pensieri sul mondo.


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