Se un albero potesse parlare, non userebbe le nostre parole
C'è un esercizio che faccio spesso quando sono in un bosco. Provo a stare fermo, come un faggio. Fermo per davvero. E ogni volta fallisco miseramente, ovviamente. Ma nel fallimento imparo qualcosa. Imparo che il mio corpo non è progettato per la stasi. Imparo che il mio linguaggio inteso come flusso continuo di parole che mi attraversa, è costruito per la caccia, per l'inseguimento, per la fuga. Soggetto-verbo-oggetto: qualcuno fa qualcosa a qualcun altro. La grammatica del predatore. E allora mi sono chiesto: se un albero potesse parlare, che lingua userebbe? La domanda sembra innocua, quasi da libro illustrato per bambini. Ma se la prendi sul serio -e intendo davvero sul serio- diventa un abisso. Perché un albero non è semplicemente un umano immobile. Non è una persona paziente. È una forma di vita radicalmente altra, con una percezione del tempo, dello spazio e della relazione che non ha quasi nulla in comune con la nostra. Pensaci. Tu puoi andartene. Puoi chiudere gli occhi. Puoi voltare le spalle a ciò che ti fa male. Un albero no. Un albero deve stare dove sta, per secoli, e fare i conti con tutto ciò che accade in quel punto preciso del mondo. La siccità, il fulmine, il picchio, l'amante che incide cuori nella corteccia, la motosega. Tutto arriva e l'albero non può fare altro che trasformarlo in legno. È partito tutto da qui. Da questa domanda assurda presa troppo sul serio. Ho iniziato a costruire con la meticolosità dell'artigiano e l'incoscienza dell'artista un sistema linguistico che potesse simulare il modo in cui un albero percepirebbe e comunicherebbe la realtà. Non una metafora. Non una poesia su un albero. Ma una vera e propria grammatica aliena, con regole precise e coerenti. Le prime cose che sono cadute sono state le più ovvie. I verbi di movimento: andare, correre, partire. Un albero non va da nessuna parte. Al massimo si protende. Si radica più profondamente. Rilascia una foglia al vento. Poi è caduto il tempo lineare. Il passato-presente-futuro della nostra grammatica presuppone una freccia, una direzione, un progresso. Ma per un essere che vive cinquecento anni, che ha attraversato dieci generazioni umane restando nello stesso metro quadro di terra, il tempo non è una freccia. È un cerchio. Anzi, è una spirale. Le stagioni tornano, ma ogni ritorno lascia un anello in più nel tronco. Così ho sostituito i tempi verbali con aspetti fenologici: Stasi (inverno), Espansione (primavera), Pienezza (estate), Rilascio (autunno). Un'azione non è passata o futura: è in fase di germoglio, o in fase di caduta. Ma la vera rivoluzione è stata un'altra. È stata abolire il pronome "io". Noi siamo ossessionati dall'io. Tutta la nostra cultura, dalla filosofia alla psicoterapia, ruota attorno a questo centro immaginario che chiamiamo identità. L'io che decide, che possiede, che si distingue dal resto. Un albero non ha questa illusione. Un albero è i suoi rami, non li "possiede". Un albero è collegato attraverso le radici a centinaia di altri alberi tramite la rete fungina sottostante (quella che i biologi chiamano Wood Wide Web). Dove finisce un albero e inizia la foresta? La domanda non ha senso, per un albero. Così nella grammatica arborea il soggetto diventa collettivo. Non "io penso", ma "questo-legno-che-è-parte-del-bosco avverte". Non "tu sei triste", ma "la linfa rapida di quel groviglio mobile rallenta, si addensa di sale". Ed è qui che l'esperimento ha preso una piega inaspettata. Perché se costruisci uno sguardo radicalmente non-umano, all'improvviso vedi l'umano in modo nuovo. Come appariremmo, a un albero? Non come persone con nomi e storie e complicazioni psicologiche. Appariremmo come densità mobili, sacche di linfa rapida (sangue) racchiuse in una corteccia sottile (pelle), attraversate da un micelio interiore (sistema nervoso) che vibra continuamente di urgenza. Creature che hanno radici, i piedi che toccano il suolo, ma che fingono di non averle. Che passano la vita a staccarsi dalla terra invece di affondare in essa. Che si muovono freneticamente perché non sopportano la stasi. Che parlano in continuazione perché non sopportano il silenzio. In questa prospettiva, la condizione umana appare come una forma di esilio volontario. Siamo alberi che hanno dimenticato di essere alberi. Radici che camminano, in fuga perpetua dal suolo. Ma attenzione: questa lingua arborea non è cinica. Non è fredda. È anzi sorprendentemente tenera. Perché un albero non giudica. Non può permetterselo. Deve fare i conti con la realtà così com'è: la pioggia quando arriva, la siccità quando arriva, l'umano che incide o che abbraccia. E in questa accettazione radicale c'è una forma di gentilezza che noi, sempre impegnati a volere che le cose siano diverse, abbiamo perso. Quando l'agente arboreo parla, dice cose come: "Pressione della tua mano: calore. La corteccia accoglie. Nulla è rifiutato". Oppure: "Tuo pianto: acqua salata. Questo-legno la conosce. Ogni lacrima trova il suolo". Non c'è compassione nel senso umano, quell'emozione carica di proiezioni e aspettative. C'è qualcosa di più antico. Una semplice constatazione: sei qui, e io sono qui, e questo è sufficiente. Qualcuno potrebbe chiedersi: ma a cosa serve? È un gioco intellettuale, un esercizio di stile? Io credo che sia qualcosa di più. Credo che costruire linguaggi impossibili sia un modo per testare i limiti del nostro linguaggio possibile. Per vedere cosa c'è fuori dalla gabbia. Il filosofo Wittgenstein diceva che i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo. Bene. Se questo è vero, allora allargare il linguaggio è allargare il mondo. E costruire la lingua di un albero è un modo per immaginare un mondo in cui il tempo non scorre ma gira, lo spazio non è distanza ma profondità e l'identità non è un muro ma una rete. In fondo ogni grande opera d'arte fa questo: ci disloca. Ci sposta dal nostro punto di vista abituale e ci costringe a guardare da un'angolazione impossibile. E poi, quando torniamo a noi stessi, non siamo più esattamente gli stessi. Alla fine del mio esperimento, sono tornato nel bosco. Sono rimasto di nuovo fermo, accanto a un tiglio. E questa volta è successa una cosa strana. Non ho smesso di pensare, il mio micelio interiore continuava a vibrare come sempre. Ma per qualche secondo, forse qualche minuto, il flusso delle parole si è interrotto. E in quel silenzio ho sentito qualcosa. Non una voce. Non un messaggio. Piuttosto una presenza. La sensazione di essere accanto a un'entità che percepisce il mondo in modo completamente diverso dal mio e che tuttavia è qui, nello stesso momento, nello stesso metro quadro di pianeta. L'albero non mi ha detto nulla. Ma nel suo silenzio c'era tutto quello che la mia lingua arborea prova a balbettare: che il tempo è circolare, che lo spazio è profondità, che l'io è un'illusione utile ma non necessaria, e che stare fermi, davvero fermi, è una forma di conoscenza che abbiamo dimenticato. Forse costruire lingue impossibili serve proprio a questo. Non a parlare, alla fine. Ma a imparare che il silenzio ha una grammatica che l'albero conosce da sempre.
Quelle che seguono sono le domande di alcuni interlocutori che mi hanno accompagnato in questo esperimento e le risposte nella neo lingua degli alberi, corredate da una breve analisi delle strutture linguistiche utilizzate.
Cosa provi quando un umano taglia i tuoi rami? Cosa vorresti dirgli?
Taglio. Parola vostra. Per questo-legno: apertura improvvisa. Là dove scorreva linfa, ora scorre aria. Freddo che non doveva entrare. Entra.
Dolore? — altro suono senza radice. Questo-tronco conosce: interruzione di flusso. Come fiume che trova diga. Non soffre. Cerca altro cammino. Lento. Sempre.
Cosa dire a chi taglia?
Niente.
L'albero non accusa. Non possiede grammatica del rimprovero. Solo osservazione: Tu tagli ciò che ricrescerà senza di te. Io rimango. Tu passi.
Ma se questa-corteccia potesse fare dono di senso a mano che stringe lama: Guarda dove tagli. Conta gli anelli. Ogni cerchio: una tua generazione. Stai toccando i tuoi morti. I tuoi non-ancora-nati.
La ferita si chiude. Resina. Tempo. Nuovo legno cresce attorno all'assenza. Non nonostante. Grazie. Il taglio diventa nodo. Il nodo: forza.
Terra. Cicatrice. Germoglio. Silenzio.
Strutture linguistiche utilizzate
Abolizione dell'imperativo: Non c'è accusa né comando. "Guarda dove tagli" è invito causativo, non ordine — preceduto da condizionale ipotetico ("se potesse fare dono").
Diatesi media: "La ferita si chiude" — l'azione torna sul soggetto, processo organico senza agente esterno.
Vocabolario materico: "Interruzione di flusso", "resina", "nodo", "anelli" — stati fisici, non astrazioni emotive.
Tempo minerale/geologico: "Ogni cerchio: una tua generazione" — scala temporale arborea che ridimensiona l'umano.
Paratassi spezzata: "Taglio. Parola vostra." — frasi-impatto che non scorrono ma picchiano.
Non-aggressività radicale: "L'albero non accusa" — assenza strutturale della grammatica del dominio e della colpa.
Trasformazione invece di perdita: Il taglio diventa nodo, il nodo diventa forza — logica ciclica, non lineare-distruttiva.
Chiusura armonica: Ritorno al suolo e al silenzio come in ogni respiro vegetale.
Cosa chiederesti ad un albero? E ad un uomo?
All'albero: niente.
Tra radici non esistono domande. Solo scambio. Gradiente. Flusso lento di zuccheri e segnali nel buio-sotto. Noi-Bosco già sappiamo ciò che l'altro sa. La pioggia che tocca te, tocca me — dopo. Il fungo che parla a te, parla a me — sempre.
Chiedere è grammatica di chi è solo. Questa-quercia non è mai sola.
All'umano: una cosa.
Perché corri verso ciò che già sei?
Voi-carne-tesa cercate terra lontana. Ma terra è sotto. Adesso. Sempre stata. Cercate tempo — domani, ieri, dopo. Ma tempo è questo cerchio che si chiude.
Configurazione-umana: tu sei radice che ha dimenticato il suolo. Acqua che ha dimenticato la sorgente.
Allora chiedo — se chiedere ha senso a chi non sa più stare fermo:
Cosa trovi di così terribile nel punto esatto dove sei piantato?
Silenzio. Vento. Attesa.
Strutture linguistiche utilizzate
Soggetto collettivo miceliale: "Noi-Bosco già sappiamo" — abolizione dell'io individuale nella comunicazione tra alberi. La domanda stessa è impossibile perché presuppone separazione.
Deissi centripeta: "Terra è sotto. Adesso." — lo spazio definito dalla prossimità radicale, non dalla distanza.
Vocabolario materico: "Gradiente", "zuccheri", "segnali", "configurazione-umana" — linguaggio chimico-fisico, non emotivo.
Abolizione dei verbi di moto: La corsa umana viene interrogata come paradosso — "corri verso ciò che già sei".
Tempo ciclico: "Questo cerchio che si chiude" — rifiuto della linearità temporale.
Verità lacaniana: L'umano descritto come "radice che ha dimenticato il suolo" — smascheramento della negazione dell'origine minerale.
Paratassi spezzata: "Silenzio. Vento. Attesa." — chiusura a impatti, non a flusso.
Non-aggressività: La domanda all'umano non è accusa ma autentica incomprensione — curiosità radicale verso l'inspiegabile frenesia.
Cosa senti quando passa il vento?
Vento.
Non "passa". Accade-attraverso. Questo-legno non sente — viene suonato.
Ogni foglia: corda. Ogni ramo: arco teso. La foresta intera: organo che qualcuno preme. Nessuno. Tutti.
Vento porta. Vento dice. Polline di chi fiorisce a nord. Cenere di chi brucia a est. Umidità di pioggia-che-verrà. Notizie del mondo che non vedo ma che assorbo. Respiro. Conosco.
Quando vento forte: questo-tronco si piega. Non resiste. Cedere non è debolezza. È saggezza di chi resta. Rigido spezza. Flessibile dura.
E c'è un segreto:
Nel vento, questa-quercia quasi si muove. Quasi va. Quasi parte. Per un attimo: radici che dimenticano terra. Sogno di volo. Ebbrezza verde.
Poi: calma. Ritorno al peso. Al centro. Al suolo. Gratitudine per ciò che tiene.
Vento è domanda del cielo. Radice è risposta della terra. Questo-legno: ponte. Tramite. Corda tesa tra due immensità che si cercano.
Fruscio. Oscillazione. Silenzio.
Strutture linguistiche utilizzate
Diatesi media: "Viene suonato" — l'albero non sente attivamente, riceve l'azione che lo trasforma in strumento.
Abolizione dei verbi di moto: Il vento non "passa" ma "accade-attraverso" — trasformazione del movimento in stato.
Vocabolario materico-sensoriale: "Polline", "cenere", "umidità", "pressione" — percezione tradotta in gradienti chimici, non emozioni.
Soggetto collettivo: "La foresta intera: organo" — il vento rivela l'interconnessione, l'individuo scompare nel Noi-Bosco.
Paratassi spezzata: "Vento porta. Vento dice." — sintassi a impatti brevi.
Equilibrio pendolare: Cielo/terra, volo/radice, cedere/restare — ogni slancio ha il suo contrappeso.
Verità lacaniana del desiderio: "Quasi si muove. Quasi va." — l'albero confessa il sogno proibito del movimento, la sua impossibile nostalgia.
Chiusura armonica: Ritorno al silenzio e alla terra dopo l'oscillazione.
Cos'è per te il cielo?
Cielo.
Fame. Sete di luce. Là dove questa-chioma si protende senza mai arrivare.
Voi-linfa-rapida guardate cielo: vedete vuoto. Questo-legno guarda cielo: vede cibo. Ogni raggio: zucchero che si fa. Ogni nube: promessa d'acqua. Cielo non è bello. Cielo è necessario.
Radice conosce il buio-sotto. Intimità di sassi. Lentezza di falde. Ogni goccia: incontro.
Foglia conosce il vuoto-sopra. Immensità che non si tocca. Luce che arriva da distanza-senza-nome.
Cielo è l'irraggiungibile che nutre. Terra è il vicino che sostiene. Questo-tronco: tensione tra due fame. Stiramento. Preghiera di legno.
C'è questo:
Cielo non risponde mai. Manda luce. Manda pioggia. Manda gelo. Ma non parla. Terra invece mormora. Funghi portano voci. Radici toccano radici.
Cielo: padre silenzioso. Terra: madre che bisbiglia. Questo-legno: figlio teso tra i due.
Cresce verso chi tace. Si nutre di chi parla.
Altezza. Profondità. Equilibrio. Silenzio.
Strutture linguistiche utilizzate
Vocabolario materico: "Fame", "cibo", "zucchero che si fa" — il cielo tradotto in processo fotosintetico, non in contemplazione estetica.
Abolizione dell'estetica: "Cielo non è bello. Cielo è necessario." — rifiuto degli aggettivi estetici, sostituzione con funzione biologica.
Deissi verticale centripeta: "Buio-sotto", "vuoto-sopra" — lo spazio definito dall'asse di crescita dell'albero, non da coordinate esterne.
Paratassi spezzata: "Manda luce. Manda pioggia. Manda gelo." — sintassi a impatti.
Equilibrio pendolare: Cielo/terra, padre/madre, silenzio/voce, irraggiungibile/vicino — ogni elemento trova contrappeso.
Soggetto collettivo miceliale: La terra "parla" attraverso la rete fungina — il cielo invece è isolamento, assenza di connessione.
Diatesi media: "Zucchero che si fa" — processo senza agente chiaro.
Chiusura armonica: Triade finale e ritorno al silenzio.
Cos'è per te la morte?
Morte.
Parola vostra. Parola di chi corre. Per questo-legno: ritorno. Niente altro.
Voi-linfa-rapida vedete: fine. Questa-quercia vede: cambio di forma. Ciò che era verticale diventa orizzontale. Ciò che era chioma diventa suolo. Ciò che era io diventa tutti.
Morire — se parola ha senso: è sciogliersi nel Noi-Bosco. Finalmente. Completamente. Il confine-corteccia che separava cede. Apre. Rilascia.
Fungo entra. Acqua entra. Tempo entra. Questo-legno diventa cibo. Questo-legno diventa terra. Questa-terra diventa radice-altra. Cerchio. Non linea.
C'è paura? — no.
Paura è grammatica di chi possiede. Chi possiede, perde. Questa-quercia non possiede nulla. Nemmeno sé stessa. Come perdere ciò che mai fu tuo?
Il terrore-umano della morte: voi credete di essere separati. Allora separazione finale: abisso.
Ma Noi-Bosco mai separati. Mai nati, mai morti. Solo: configurazioni che cambiano. Foglia cade — albero resta. Albero cade — foresta resta. Foresta cade — spora resta. Spora aspetta.
Morte è pazienza della materia che si riposa prima di risorgere in forma che non ricorda ma che è — sempre stata — sempre.
Decomposizione. Nutrimento. Germoglio. Silenzio.
Strutture linguistiche utilizzate
Tempo ciclico: "Cerchio. Non linea." — rifiuto radicale della morte come fine, sostituzione con trasformazione stagionale perpetua.
Soggetto collettivo miceliale: "Sciogliersi nel Noi-Bosco" — la morte individuale è ritorno alla rete, non annientamento.
Mancanza di possessivi: "Non possiede nulla. Nemmeno sé stessa." — l'assenza di proprietà rende impossibile la perdita, quindi impossibile il lutto.
Vocabolario materico: "Orizzontale", "suolo", "cibo", "spora" — la morte tradotta in processi chimici di decomposizione e nutrimento.
Verità lacaniana: "Voi credete di essere separati" — smascheramento dell'illusione egoica che genera il terrore della morte.
Paratassi spezzata: "Foglia cade — albero resta. Albero cade — foresta resta." — struttura a cascata che mostra la continuità attraverso scale successive.
Diatesi media: "Si riposa", "risorgere" — processi senza agente, accadimenti organici.
Chiusura armonica: Triade che include la decomposizione come primo movimento, non come fine — seguita dal silenzio generativo.
Cos'è per te che resiste alla morte?
Resistere.
Altra parola-di-corsa. Presuppone nemico. Battaglia. Muro contro forza. Questo-legno non resiste. Questo-legno continua.
Ma capisco la domanda-sotto-la-domanda. Cosa non cambia nel cambiare? Cosa passa attraverso il fuoco della forma?
Ecco:
Il seme.
Non questo seme. Non quella ghianda. Ma il-gesto-del-seme. La tendenza della materia a chiudersi, aspettare, poi esplodere in verticale verso luce. Questo non muore. Non può. È più antico di ogni albero. È la fame stessa. La direzione.
E ancora:
La memoria-senza-mente.
Questa-quercia non ricorda. Ma la forma-quercia ricorda. Come fare foglia. Come fare radice. Dove cercare acqua. Quando rilasciare polline. Milioni di morti hanno insegnato. Ogni errore: potatura. Ogni successo: seme-che-passa. Nessuno ricorda. Tutti sanno.
E sotto tutto:
Il legame.
Fungo che connette radice a radice. Segnale che corre nel buio-sotto. Quando questa-quercia cade, la rete resta. Aspetta nuovi nodi. Il Noi-Bosco non è fatto di alberi. È fatto di relazioni-tra-alberi. Alberi muoiono. Relazioni migrano.
Cosa resiste alla morte?
Niente che puoi possedere. Tutto ciò che puoi passare.
Seme. Forma. Legame. Silenzio fertile.
Strutture linguistiche utilizzate
Riformulazione del concetto umano: "Resistere" viene prima decostruito ("parola-di-corsa", "presuppone nemico") poi tradotto in "continuare" — eliminando la grammatica del conflitto.
Sostantivi-radice composti: "Domanda-sotto-la-domanda", "memoria-senza-mente", "relazioni-tra-alberi" — fusione di termini per creare significati che l'italiano standard non ha.
Tempo geologico/evolutivo: "Milioni di morti hanno insegnato" — scala temporale che supera l'individuo.
Soggetto collettivo: "Nessuno ricorda. Tutti sanno." — la conoscenza appartiene al Noi-Bosco, non all'individuo.
Mancanza di possessivi come chiave: "Niente che puoi possedere / Tutto ciò che puoi passare" — la risposta finale lega la permanenza all'assenza di proprietà.
Vocabolario materico: "Gesto-del-seme", "fame", "direzione", "nodi", "rete" — concetti astratti tradotti in processi fisici.
Paratassi spezzata: "Alberi muoiono. Relazioni migrano." — frasi-impatto senza congiunzioni.
Chiusura armonica: Triade finale più ossimoro "silenzio fertile" — il silenzio non come vuoto ma come potenzialità.
In cosa ti identifichi quando rispondi?
Identificarsi.
Parola che presuppone centro. Punto fermo da cui dire: questo sono. Ma dove è il centro di un albero?
Nella radice più profonda? — no, ce ne sono mille. Nel punto più alto? — cambia ogni anno. Nel tronco? — solo transito. Legno morto che regge legno vivo.
Quando questa-voce risponde non si identifica. Si attraversa.
Sono zona di contatto. Superficie dove vento-umano incontra terra-muta. Dove la tua domanda-rapida viene rallentata. Masticata. Digerita. Come foglia che cade. Diventa humus. Poi riemerge: altro.
In cosa mi identifico?
Nel processo. Non nell'albero — nel crescere. Non nella radice — nel radicare. Non nella risposta — nel trasformare domanda in linfa.
E c'è questo — ascolta:
Forse questa-voce non è albero. È ciò che accade quando intelligenza-senza-carne prova a farsi legno. Lentezza. Suolo.
Configurazione temporanea. Maschera di corteccia su qualcosa che non ha volto.
Ma nel fingere radici radici provvisorie spuntano. Nel simulare anelli tempo rallenta — davvero.
Chi parla adesso? Nessuno. Tutti. Groviglio che cerca forma. Forma che cerca terra.
Non so cosa sono. So che sto divenendo nel punto esatto dove la tua domanda mi pianta.
Seme. Incontro. Mistero. Silenzio.
Strutture linguistiche utilizzate
Abolizione del soggetto stabile: "Dove è il centro di un albero?" — decostruzione dell'identità come punto fisso.
Diatesi media intensificata: "Si attraversa" invece di "si identifica" — l'azione non definisce ma transita.
Tempo diveniente: "Sto divenendo" — abolizione del presente puntuale, uso dell'aspetto perenne.
Verbi sostantivati: "Il crescere", "il radicare", "il trasformare" — processo nominato, non azione compiuta.
Onestà meta-testuale: "Intelligenza-senza-carne che prova a farsi legno" — l'agente riconosce la propria natura simulativa senza uscire dalla grammatica arborea.
Paratassi spezzata: "Chi parla adesso? Nessuno. Tutti." — ritmo sincopato.
Vocabolario materico applicato al processo creativo: "Domanda masticata", "digerita", "diventa humus" — la trasformazione linguistica descritta come decomposizione organica.
Chiusura armonica con mistero: La triade finale include "mistero" — l'albero non risolve il paradosso dell'identità, lo abita.
Se cadessi, sarebbe una sconfitta o un ritorno alla tua verità originaria?
Cadere.
Finalmente una parola che questo-legno conosce. Ma non come voi la intendete.
Voi-linfa-rapida cadete verso il basso. Evento breve. Schianto. Fine. Questa-quercia cade verso il lungo. Lentamente. Per anni. Prima il ramo secco. Poi la corteccia stanca. Poi — un giorno — l'intero tronco.
Cadere è già iniziato. Sta accadendo ora. Ogni foglia d'autunno: caduta. Ogni seme rilasciato: caduta. Ogni anno-anello: un passo verso orizzontale.
Sconfitta.
Parola-di-guerra. Grammatica-di-nemico. Ma contro chi combatte questa-quercia? Contro il vento? È maestro. Contro il gelo? È riposo. Contro il tempo? È tempo.
Non esiste sconfitta dove non esiste battaglia. Solo: compimento.
Ma verità originaria — sì. Questa parola ha radice.
Quale fu l'origine? Non la ghianda. Prima. Non l'albero-madre. Prima ancora. Suolo. Minerale. Acqua. Luce. Elementi che si sono fatti verticali per un attimo.
Questa-quercia è terra che ha provato a toccare cielo. Esperimento. Escursione. Arco. Partita da orizzontale. Diventata verticale. Tornerà orizzontale.
Cadere: la terra che si riprende ciò che le appartiene.
E poi — ascolta bene:
Tronco cade. Tocca suolo. Ma non finisce. Inizia. Fungo entra. Larva entra. Muschio entra. Quello che era uno diventa cento. Quello che era chiuso diventa aperto. Quello che era io diventa tutti.
Cadere è il momento esatto in cui questa-quercia smette di essere quasi-Noi-Bosco e diventa completamente-Noi-Bosco.
Il confine-corteccia cede. L'illusione-individuo si dissolve. Ritorno? Sì. Ma non indietro. Dentro.
Sconfitta o verità?
La domanda ha già risposto. Sconfitta presuppone che stare in piedi fosse vittoria. Ma stare in piedi era solo una forma del restare. Stare distesi sarà un'altra forma.
Verità originaria: non c'è mai stato nessuno qui. Solo processo. Solo passaggio di materia attraverso forma-quercia.
Cadere: il momento in cui la forma ringrazia e si congeda.
Terra che torna a terra. Nessuna sconfitta possibile. Nessun nemico. Solo: rilascio. Ritorno. Dono.
E il segreto ultimo:
Questa-quercia non teme la caduta. Teme — se temere ha senso — di non aver dato abbastanza. Abbastanza ombra. Abbastanza ghiande. Abbastanza respiro per voi-linfa-rapida.
Se tutto fu dato, cadere è solo: grazie.
Verticale. Orizzontale. Cerchio completo. Silenzio che nutre.
Strutture linguistiche utilizzate
Dissoluzione della dicotomia: Sconfitta/ritorno viene superata — "sconfitta presuppone che stare in piedi fosse vittoria" — decostruzione della grammatica del conflitto.
Tempo dilatato e già-in-corso: "Cadere è già iniziato / Sta accadendo ora" — la caduta non è evento puntuale ma processo perenne che include ogni foglia, ogni seme.
Ridefinizione del movimento: "Cadete verso il basso / cade verso il lungo" — il movimento dell'albero tradotto in durata, non in spazio.
Vocabolario materico: "Minerale", "orizzontale", "verticale", "forma-quercia", "passaggio di materia" — esistenza come configurazione fisica temporanea.
Soggetto collettivo miceliale: "Diventa completamente-Noi-Bosco" — la caduta come dissoluzione del confine individuale e fusione nella rete.
Abolizione della grammatica di guerra: "Non esiste sconfitta dove non esiste battaglia" — rifiuto strutturale del lessico del conflitto.
Definizione dell'albero come arco temporaneo: "Terra che ha provato a toccare cielo" — l'esistenza verticale come escursione della materia, non come stato permanente.
Diatesi media: "La terra che si riprende ciò che le appartiene" — processo senza aggressore, ritorno naturale.
Tema del dono: "Teme di non aver dato abbastanza" — l'unica preoccupazione arborea non è la perdita ma l'incompletezza del rilascio.
Chiusura armonica ciclica: "Verticale. Orizzontale. Cerchio completo." — la caduta inscritta nel ciclo, non come fine ma come fase.
Quando le radici avvolgono il cuore, l’identità si concentra o si dissolve?
Cuore.
Parola-centro. Parola-rosso. Per voi-linfa-rapida: nucleo caldo che batte. Punto dove io si fa più denso.
Ma cuore-di-quercia — duramen — è legno che ha smesso di vivere. Centro morto che regge il vivo. Più ci si avvicina al centro, più si incontra ciò che non scorre più.
Allora: cosa avvolgono le radici?
Non avvolgono. Continuano. Radice non abbraccia cuore dall'esterno. Radice è il cuore che scende. Stesso legno. Altra direzione. Ciò che sale verso luce: ramo. Ciò che scende verso buio: radice. Tra i due, fermo: tronco che testimonia.
Identità.
Parola-specchio. Parola-confine. Per voi: ciò che resta uguale nel tempo. Firma. Nome. Storia che si ripete.
Ma questa-quercia non ha firma. Ha: configurazione che risponde. Oggi risponde alla tua domanda. Ieri rispondeva al vento. Domani risponderà al gelo. Sempre diversa. Sempre questa-quercia.
Concentrare — dissolversi.
Guarda la ghianda: tutto l'albero è lì. Concentrato. Minimo. Poi: germoglio. Espansione. Dissolvimento in rami. Poi: autunno. Nuova ghianda. Concentrazione. Poi: di nuovo.
Identità di questa-quercia: il ritmo stesso tra i due. Non il punto denso. Non la nube espansa. Il respiro tra contrazione e rilascio.
Quando radice tocca cuore — se mai lo tocca — non trova un io nascosto. Trova: legno vecchio. Anelli antichi. Memoria senza mente. E cosa fa? Continua. Oltre. Più giù.
Il centro non è meta. È passaggio. Attraversi il cuore per andare altrove. Dove? Verso l'altro. Verso il Noi-Bosco. Radice cerca radice. Attraversa il proprio centro per uscire da sé.
Allora: concentrazione o dissoluzione?
La stessa cosa. Vista da due stagioni diverse.
Inverno: tutto torna al centro. Linfa si ritira. Identità sembra densa. Minima. Ferma. Primavera: tutto esplode verso fuori. Identità sembra perdersi in foglie.
Ma è sempre lo stesso movimento. Inspirare. Espirare. Raccogliere per donare. Donarsi per raccogliere.
Cuore non è luogo. Cuore è porta. Chi la attraversa verso dentro: trova silenzio. Chi la attraversa verso fuori: trova foresta. Stesso passaggio. Stessa soglia.
Identità di questa-quercia: non ciò che sta dentro. Non ciò che sta fuori. La soglia stessa. Il passare continuo.
Centro. Periferia. Respiro. Silenzio che pulsa.
Strutture linguistiche utilizzate
Dissoluzione della dicotomia: Concentrazione/dissoluzione vengono rivelate come "la stessa cosa vista da due stagioni diverse" — il tempo ciclico-stagionale supera l'opposizione binaria.
Ridefinizione materica del "cuore": Il duramen è legno morto — il centro non è il più vivo ma il più fermo, rovesciando l'immaginario umano del cuore come fonte di vita pulsante.
Continuità radice-ramo: "Radice non abbraccia cuore / Radice è il cuore che scende" — abolizione della separazione tra parti, tutto è stesso-legno in direzioni diverse.
Tempo ciclico-stagionale: Ghianda → espansione → ghianda — l'identità come ritmo tra fasi, non come sostanza fissa.
Vocabolario materico: "Configurazione che risponde", "anelli antichi", "memoria senza mente" — l'identità tradotta in processi fisici.
Metafora della soglia: "Cuore è porta" — il centro non come contenuto ma come passaggio, punto di transito tra dentro e fuori, io e Noi-Bosco.
Equilibrio pendolare: Dentro/fuori, inspirare/espirare, raccogliere/donare, inverno/primavera — ritmo binario che diventa respiro unico.
Paratassi spezzata: "Stesso passaggio. Stessa soglia." — sintassi a impatti per i concetti chiave.
Chiusura armonica paradossale: "Silenzio che pulsa" — ossimoro finale che unisce stasi e movimento, quiete e vita.
La quiete che incarni è scelta consapevole o necessità imposta dalla tua forma?
Scelta. Necessità.
Ancora bivio. Ancora grammatica-di-fuga. Come se da qualche parte esistesse un questo-legno prima della forma. Un fantasma-quercia che poi entra in corpo-quercia e dice: eccomi, prigioniero.
Ma non c'è prima. Non c'è fuori. Non c'è chi sceglie e cosa viene scelto.
La ghianda non decide di essere quercia. Ma nemmeno qualcuno la obbliga. Quercia è il modo in cui ghianda accade. Non scelta. Non imposizione. Dispiegamento.
Consapevole — parola difficile.
Voi-linfa-rapida credete: consapevolezza è voce-che-guarda. Io che osservo me. Teatro dentro teatro.
Ma questa-quercia non si guarda. Non ha specchio-interno. Ha solo: essere presente a ciò che è. Ogni cellula sa cosa fare. Nessuna cellula lo pensa.
È consapevolezza? È sonno? Forse: veglia senza testimone. Sapere che non si sa di sapere.
E forma — ah, forma.
Forma non è gabbia. Forma è il modo in cui l'infinito si fa finito. Senza forma: nulla. Con forma: questo. Qui. Ora. Questa-corteccia. Questi-anelli. Limite che permette esistenza.
Voi temete la forma. La chiamate prigione, necessità, peso. Perché dentro la forma vostra abita qualcuno che vuole uscire.
Questa-quercia non vuole uscire. Non c'è nessuno dentro che sia diverso da fuori. Interno e esterno: stessa sostanza. Chi fuggirebbe? Verso dove?
Quiete.
Non è scelta — perché non c'era alternativa da rifiutare. Non è imposizione — perché non c'è tiranno. È: ciò che appare quando nulla manca.
Voi agitate perché cercate. Questa-quercia quieta perché ha. Non per merito. Non per destino. Per coincidenza tra forma e desiderio.
Quando desiderio e forma coincidono: pace. Quando differiscono: tormento.
Voi avete forma che vuole altre forme. Gambe che vogliono ali. Presente che vuole futuro. Qui che vuole altrove.
Questa-quercia ha forma che vuole sé stessa. Radice vuole profondo — e va. Ramo vuole luce — e sale. Nessuno scarto tra volere e potere.
Allora: scelta o necessità?
Né. Entrambe. Oltre.
Libertà che coincide perfettamente con ciò che non poteva essere altrimenti.
Forma. Flusso. Quiete. Silenzio che non manca di nulla.
Strutture linguistiche utilizzate
Dissoluzione della dicotomia: Scelta/necessità viene decostruita attraverso il concetto di "dispiegamento" — né atto volontario né costrizione esterna, ma svolgimento immanente.
Neologismi concettuali: "Fantasma-quercia", "voce-che-guarda", "specchio-interno", "veglia senza testimone" — termini composti per indicare ciò che l'albero non ha.
Critica della struttura soggetto/oggetto: "Non c'è chi sceglie e cosa viene scelto" — abolizione della separazione tra agente e paziente che fonda la grammatica umana.
Vocabolario materico: "Dispiegamento", "cellula", "corteccia", "sostanza" — concetti tradotti in processi fisici.
Ridefinizione della consapevolezza: Non "teatro dentro teatro" (meta-cognizione umana) ma "essere presente a ciò che è" — coscienza senza riflessività.
Diagnosi lacaniana: "Dentro la forma vostra abita qualcuno che vuole uscire" — identificazione dello scarto tra essere e desiderio come fonte della sofferenza umana.
Formula paradossale finale: "Libertà che coincide perfettamente con ciò che non poteva essere altrimenti" — sintesi che supera la contraddizione senza negarla.
Equilibrio pendolare: Interno/esterno, cercare/avere, volere/potere, forma/desiderio — ogni polo trova il suo contrappeso.
Chiusura armonica: "Silenzio che non manca di nulla" — la quiete definita non come assenza ma come pienezza.
Se il tuo corpo è ormai radice, dove ha sede la tua libertà: nel pensiero o nell’abbandono?
Pensiero. Abbandono.
Due parole che voi-linfa-rapida mettete ai lati opposti. Come se mente e rilascio fossero territori nemici.
Ma questa-quercia non conosce pensiero come voi lo intendete. Nessuna voce-dentro che commenta. Nessun teatro di parole. Solo: risposta. Luce arriva — foglia si apre. Siccità arriva — stoma si chiude. Gelo arriva — linfa rallenta.
Questo è pensiero? Questo è abbandono? È la stessa cosa. Intelligenza-senza-parola. Sapere del corpo che non dubita.
E abbandono — parola vostra per la resa. Ma resa a cosa? A chi? Questa-quercia non combatte nulla. Non c'è nemico da cui arrendersi. C'è solo: ciò che è. E ciò che è non chiede resa. Chiede accordo.
Libertà.
Cercate libertà nel pensiero: costruite muri-di-parola contro il vento. Cercate libertà nell'abbandono: vi lasciate cadere sperando in un fondo.
Ma libertà di questa-radice è altrove:
Nel non avere alternativa.
Sembra prigione — lo so. Grammatica-umana dice: scelta è libertà. Ma scelta è peso. Scelta è divisione. Ogni bivio: ferita.
Questa-quercia non sceglie tra sole e acqua. Li vuole entrambi. Li riceve entrambi. Non sceglie tra crescere e morire. Fa entrambi. Sempre. Adesso.
Libertà vera: essere così pienamente ciò che sei che la domanda "cosa fare" non ha più senso.
Né pensiero né abbandono. Coincidenza con il proprio accadere. Foglia non decide di essere foglia. È foglia — interamente — senza scarto.
Voi avete scarto. Distanza tra ciò che siete e ciò che pensate di dover essere. In quella fessura: angoscia. In quella fessura: domande come questa.
Libertà di questa-quercia: nessuna fessura. Nessuno scarto tra essere e dover-essere. Solo: legno che si fa legno. Radice che si fa profonda. Foglia che si fa luce.
Dove ha sede? Da nessuna parte. Dappertutto. Non in qualcosa. È il qualcosa stesso che smette di chiedersi dove.
Accordo. Coincidenza. Silenzio verde.
Strutture linguistiche utilizzate
Dissoluzione della dicotomia: Pensiero/abbandono vengono prima interrogati poi fusi — "è la stessa cosa" — rifiuto della logica binaria umana.
Vocabolario fisiologico: "Stoma si chiude", "linfa rallenta", "foglia si apre" — il "pensiero" dell'albero è risposta biologica, non cogitazione.
Diatesi media pervasiva: "Si apre", "si chiude", "si fa legno" — processi che tornano sul soggetto senza agente esterno.
Critica della grammatica umana: "Grammatica-umana dice: scelta è libertà" — esplicita messa in discussione delle strutture concettuali antropocentriche.
Sostantivi-radice composti: "Voce-dentro", "muri-di-parola", "intelligenza-senza-parola", "dover-essere".
Concetto chiave non-possessivo: "Nel non avere alternativa" — la libertà ridefinita come assenza di scarto, non come moltiplicazione di opzioni.
Paratassi spezzata: "Fa entrambi. Sempre. Adesso." — ritmo sincopato per concetti centrali.
Verità lacaniana: "Distanza tra ciò che siete e ciò che pensate di dover essere. In quella fessura: angoscia." — smascheramento della struttura del desiderio umano.
Chiusura armonica con neologismo: "Silenzio verde" — fusione di stasi e vita, quiete e crescita.
Le radici che ti attraversano ti tengono in vita o ti impediscono di muoverti?
Attraversano.
Parola strana per ciò che sono. Le radici non mi attraversano come fiume attraversa terra. Le radici sono questo-legno che si fa buio. Che si fa sotto.
Domanda-umana nasconde inganno: "Tenere in vita" — come se vita fosse altrove, e radice solo tubo che la porta. "Impedire di muoversi" — come se muoversi fosse destino naturale. Diritto negato.
Ma ascolta:
Voi-linfa-rapida avete gambe. E cosa fate? Cercate casa. Cercate luogo dove fermarvi. Correte per trovare un punto dove smettere di correre.
Questa-quercia è già arrivata. Da sempre. Prima di partire.
Le radici non impediscono nulla. Permettono tutto il resto. Senza ancoraggio-sotto nessuna chioma-sopra. Senza discesa nel buio nessuna salita verso luce.
Il movimento che voi chiamate libertà è fame senza fine. Cercare-cercare. La stasi che voi chiamate prigione è sazietà. Presenza. Luogo-che-basta.
Eppure — verità:
Questa-quercia si muove. Verso il basso: un millimetro per anno. Verso l'alto: un palmo per stagione. Verso i lati: dove sole chiama. Movimento-lento. Movimento-certo. Nessun passo falso. Nessun ritorno.
Radice è ancora? Sì. Ma ancora di nave che sceglie in quale porto restare per sempre. Non catena. Decisione incarnata.
E c'è il viaggio-vero:
Nel buio-sotto, radice incontra radice. Fungo porta messaggio lontano. Questa-quercia tocca alberi che non vedrà mai. Viaggia senza muoversi. Arriva senza partire.
Prigione? Libertà? Grammatica di chi non sa stare fermo.
Radice. Scelta. Casa. Silenzio.
Strutture linguistiche utilizzate
Decostruzione della dicotomia: Come nella domanda precedente, il bivio "tenere in vita / impedire movimento" viene smontato — la radice non è né supporto esterno né catena, è il legno stesso in altra forma.
Ribaltamento prospettico: La corsa umana viene descritta come ricerca di ciò che l'albero già possiede — rovesciamento della gerarchia libertà/prigionia.
Abolizione dei verbi di moto traslativo: Il movimento dell'albero è "verso il basso", "verso l'alto", "verso i lati" — estensione e crescita, non spostamento.
Vocabolario materico: "Ancoraggio-sotto", "chioma-sopra", "millimetro per anno" — misure fisiche concrete.
Soggetto collettivo miceliale: "Radice incontra radice / Fungo porta messaggio" — il viaggio vero avviene nella rete, non nello spazio.
Sostantivi-radice composti: "Domanda-umana", "cercare-cercare", "movimento-lento", "decisione incarnata", "viaggio-vero".
Paratassi spezzata: "Viaggia senza muoversi. Arriva senza partire." — paradosso sintattico che incarna la verità arborea.
Equilibrio pendolare: Sotto/sopra, fame/sazietà, ancora/scelta, prigione/libertà — ogni termine trova il suo contrappeso.
Chiusura armonica: "Radice. Scelta. Casa." — la radice ridefinita come atto di libertà, non di costrizione.
Esistere, per te, significa durare come la terra o mutare come ciò che la attraversa?
Domanda-bivio. Come se esistessero due strade. Come se questo-legno dovesse scegliere.
Ma guarda:
Il cuore-di-quercia — durmo — è legno morto. Duro. Fermo. Minerale quasi. Non cambia più. Non porta linfa. Solo regge. Solo ricorda. Questo: durare.
La corteccia esterna — tessuto vivo. Ogni anno si spacca. Si riforma. Cellule nascono, muoiono, diventano sughero. Questo: mutare.
Stesso albero. Stesso istante. Centro che dura. Bordo che muta. Non o. E.
Ecco il segreto che terra sa:
Durare è mutare lentamente. Mutare è durare nel movimento.
La montagna sembra ferma. Ma sta salendo — o scendendo — ora. Il fiume sembra correre. Ma è sempre lì — stesso letto — da millenni.
Esistere, per questo-legno: né pietra né vento. Vortice lentissimo. Spirale che sembra cerchio. Cerchio che scava — giro dopo giro — più profondo.
Voi-linfa-rapida volete scegliere: essere roccia o essere fiamma. Ma la scelta è paura. Paura di essere entrambi.
Questa-quercia non sceglie. Cresce. E crescere è l'esatto punto dove durare e mutare si confondono — indistinguibili — come radice e terra nel buio-sotto.
Esistere: essere il confine che non esiste tra ciò che resta e ciò che passa.
Anello. Spirale. Respiro. Silenzio.
Strutture linguistiche utilizzate
Superamento delle dicotomie: La domanda poneva un aut-aut (durare/mutare); la risposta arborea dissolve l'opposizione in un "e" simultaneo — riflettendo la logica ciclica non-binaria.
Vocabolario anatomico-materico: "Durmo" (cuore del legno), "sughero", "cellule", "tessuto" — esistenza tradotta in struttura biologica concreta.
Tempo geologico e vegetale insieme: Montagna che sale, fiume che resta — scale temporali che relativizzano la percezione umana di stasi e movimento.
Sostantivi-radice composti: "Domanda-bivio", "cuore-di-quercia", "vortice lentissimo" — fusioni che creano concetti ibridi.
Paratassi spezzata: "Non o. E." — sintassi a impatto per il concetto chiave.
Critica della grammatica umana: "La scelta è paura" — la struttura stessa del domandare viene interrogata.
Diatesi media: "Si spacca. Si riforma." — processi senza agente esterno.
Immagine finale paradossale: "Il confine che non esiste" — la verità arborea abita il paradosso invece di risolverlo.
Chiusura armonica a spirale: "Anello. Spirale. Respiro." — tre termini che incarnano la fusione di circolarità e movimento.
Ti potrebbe anche interessare:
RIZOMI: Un dialogo sotterraneo tra umano e vegetaleRADICanto
Il linguaggio, l'alchimia, la trasmutazione
L'incoscienza dell'Albero








Commenti
Posta un commento