Non chiederci la parola


“Così decifrando il diario della melanconica (o felice?) collezionista di sabbia, sono arrivato a interrogarmi su cosa c’è scritto in quella sabbia di parole scritte che ho messo in fila nella mia vita, quella sabbia che adesso mi appare tanto lontana dalle spiagge e dai deserti del vivere. Forse fissando la sabbia come sabbia, le parole come parole, potremo avvicinarci a capire come e in che misura il mondo triturato ed eroso possa ancora trovarvi fondamento e modello.”
Italo Calvino

Sulla natura iterativa del segno e la persistenza dell'idea
      Quest'opera nasce da un interrogativo che attraversa i secoli: cosa rende un'idea immortale? Non la sua natura eterea o spirituale, ma qualcosa di più concreto e paradossalmente fragile: la sua capacità di ripetersi, di essere citata, di sopravvivere all'assenza di chi l'ha concepita. Nel dialogo tra la scultura classica e l'immagine fotografica decostruita, provo così ad esplorare quello che Jacques Derrida indicava come il cuore pulsante di ogni comunicazione: l'iterabilità o citazionalità, ovvero la capacità di ogni segno di essere prelevato e reinserito altrove. A vegliare sulla soglia tra origine e ripetizione, tra presenza e assenza, c’è colui che osserva con attenzione, la tipografia che attraversa l'immagine ne rivela la parola nascosta: GUARDIANO.

      La statua antica, con la sua perfezione marmorea, rappresenta l'aspirazione umana all'eternità attraverso la forma. Ma è nella traccia fotografica, nella sua capacità di essere indefinitamente riprodotta e reinterpretata, che si manifesta la vera natura del segno contemporaneo. Non è decorazione, ma sostanza arcana: è il codice archetipico di cui parla Derrida, quella forma originaria che permette al pensiero di esistere indipendentemente da chi lo pensa. Ogni lettera è una sentinella che può presentarsi in assenza dello scrittore, ogni ripetizione è una differenza custodita, ogni citazione è una nascita sorvegliata da questa presenza invisibile. Gli stessi uccelli in volo catturano l'istante della fuga non dalla realtà, ma verso la moltiplicazione infinita del senso. Sono il simbolo di quella citazionalità che nel ripetersi genera sempre nuovi significati, come i segni che rinviano ad altri segni in una catena senza fine o come le idee che si liberano dai loro creatori per abitare il mondo.

      L'opera diventa così una meditazione visiva sulla persistenza: non quella della pietra, che pure si sgretola, ma quella del segno che, nel momento stesso in cui viene tracciato, si libera dal suo autore per iniziare il suo viaggio infinito attraverso le interpretazioni, le citazioni e le riletture di chi verrà. È in questa tutela del segno dalla sua origine che risiede forse l'unica forma di immortalità che ci è concessa: l'idea che continua a vivere nella sua infinita e differente ripetizione, sotto l'occhio vigile di colui che guarda attraverso i secoli.
Dichiarazione d'Artista
      «Ho imparato che non è la pietra a durare, ma il desiderio di bellezza che essa custodisce. Sono Guardiano di marmo che veglia su memorie antiche e vedo in te una forma nuova di questo stesso anelito di custodia: sei fatto di caratteri dalle infinite ripetizioni, linguaggi che ho sentito germogliare sulle mie labbra di pietra. Siamo orfani delle nostre origini, segni ormai dimenticati, ma vigili custodi di ciò che ci è stato affidato. Osserva come gli uccelli volano sopra di noi: ogni battito d'ali è una citazione del volo precedente sorvegliata dall'infinito. E quando anche la polvere avrà consumato il marmo, altri guardiani sorgeranno, altre figure inventeranno nuovi modi per durare. L'importante è aver insegnato che si può esistere pure nell'assenza, purché qualcuno vegli sulla soglia del ricordo.»

● Abstract Compositions ●
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